L’impegno per il patrimonio

L’impegno per il patrimonio

Dopo aver iniziato e diretto per i primi dieci anni l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana,Mons. Giancarlo Santi lascia l’incarico. In questa intervista fa il punto su quanto compiuto dall’Ufficio, che svolge una funzione di coordinamento, e sulle prospettive attuali.Tra i passi compiuti: la realizzazione di nuovi Musei, la catalogazione dei beni esistenti, corsi specialistici e soprattutto tanti restauri.

Dopo aver diretto l’Ufficio Beni Culturali della Conferenza Episcopale Italiana nel corso del suo primo decennio di attività, Mons. Santi, che di tale Ufficio è stato l’iniziatore, torna nella sua Milano. Le iniziative di
carattere culturale che hanno preso il via in questo periodo in tutte le Diocesi italiane, sotto il coordinamento o su impulso dell’Ufficio Beni Culturali della C.E.I., sono numerose e importanti: a partire dalla conservazione e adeguamento di numerosissime chiese storiche su tutto il territorio nazionale, per arrivare all’inventariazione e catalogazione dei beni culturali ecclesiastici, condotta di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; all’apertura di corsi di specializzazione per laici e sacerdoti nel campo dell’arte,

Mons. Giancarlo Santi

dell’architettura, del restauro e conservazione, dell’adeguamento liturgico, dell’archivistica svolti in molti casi con la partecipazione o in associazione con Università e Ordini professionali; ai concorsi nazionali per la realizzazione di nuove chiese (nove sinora, per tre chiese nel sud, tre nel centro e tre nel nord Italia).

Quale l’impegno di fondo che ha caratterizzato l’opera dell’Ufficio che Ella ha diretto sino ad ora?
Direi che uno dei motivi ispiratori dell’azione dell’Ufficio Beni Culturali della Conferenza Episcopale Italiana è stato il cercare di dare un respiro nazionale e istituzionale a interessi che nell’ambito della Chiesa sono sempre stati coltivati
su base locale, in funzione di scelte e sensibilità personali. L’Ufficio della C.E.I. ha inteso aiutare il sorgere di una rete nazionale cui partecipassero attivamente tutte le Diocesi in uno scambio mutuo di informazioni e di sostegno e di condivisione delle problematiche attinenti alla conservazione, alla valorizzazione e alla comunicazione dei
beni culturali ecclesiastici. L’impressione è che i risultati siano stati lusinghieri perché ogni Diocesi ha avuto modo di acquisire una maggiore coscienza dell’importanza dei beni culturali che custodisce, una maggiore sicurezza nel suo rapporto con questi beni, una maggiore propensione al loro utilizzo nella pratica religiosa e nel rapporto con gli
ambienti della cultura e delle professioni.

L’Ufficio Nazionale BCE ha sinora preso molte iniziative…
L’Ufficio nazionale ha un ruolo di supporto: il suo scopo non è quello di sostituirsi alle Diocesi nella gestione dei beni culturali; le azioni e le decisioni spettano ai Vescovi ed ai loro delegati.

Uffici analoghi esistono anche negli altri Paesi?

Direi che in Italia l’Ufficio Nazionale per i BCE è stato costituito forse in ritardo rispetto agli altri Paesi. Questo perché qui in passato operava la Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia, organismo che ha preceduto l’attuale Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa. Se questa Commissione ha lo sguardo rivolto alla globalità della Chiesa Cattolica, quella precedente Commissione Centrale si occupava specificamente dell’Italia, pur essendo un organo vaticano. Insomma, la vicinanza con Roma ha fatto sì che per un certo periodo l’interesse e l’impegno dei Vescovi italiani per i BCE fosse mediato dalla Santa Sede. Ma l’impegno della Conferenza Episcopale in questo campo è andato crescendo nel corso di tutti questi anni. In particolare dopo gli accordi raggiunti nel 1985 a Villa Madama tra Stato Italiano e Chiesa, che hanno portato a compimento il Concordato. L’impegno della Conferenza
Episcopale è andato crescendo e manifestandosi con sempre maggiore evidenza e maggiore forza. La costituzione dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della C.E.I. nel ’95 ha sancito l’istituzionalizzazione di tale impegno.

E Lei è stato chiamato a organizzarlo e dirigerlo…
Nei 22 anni precedenti mi ero occupato dell’Ufficio Arte Sacra della Diocesi di Milano che, con le sue circa 1000 parrocchie, costituisce una realtà piuttosto articolata: quell’esperienza mi è stata preziosa.

Forse uno degli impegni più significativi è stata la catalogazione sistematica dei beni: qualcosa che presumo abbia pochi precedenti storici…
Al contrario: la Chiesa ha sempre tenuto registri dei suoi beni: anche il Codice di Diritto Canonico regolamenta questa attività. Forse è solo negli ultimi 50 anni che si è verificata una certa trascuratezza al riguardo. La differenza, oggi, è che l’inventariazione e la catalogazione sono portate avanti con strumentazioni moderne, fotografiche e computeristiche. E, inoltre, d’intesa e in un mutuo interscambio, grazie alle metodologie condivise, con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La catalogazione attuale è, naturalmente, un’azione di grande importanza e di grande respiro, ed è giunta a un buon punto. Già alcune diocesi l’hanno portata a compimento. Ci si aspetta di riuscire
a concluderla nel giro di qualche anno ancora.

I fondi dell’8 per mille costituiscono un importante contributo per l’ attività dell’Ufficio Beni Culturali?
L’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici distribuisce una media di circa 40 milioni di vecchie lire per ogni diocesi, provenienti dal fondo dell’8 per mille. Si potrebbe dire: ben poca cosa. Ma, per quanto marginale, si tratta di un contributo che aiuta a portare a compimento opere magari già cominciate ma non perfettamente compiute, e talvolta serve per attivare altre contribuzioni. Naturalmente la maggior parte di questi fondi non va all’opera di catalogazione (che spesso è portata avanti anche grazie all’impegno di volontari laici), ma è destinata a riparare strutture in pericolo.
Se c’è il tetto di una chiesa chefa acqua, sarà qui che andranno indirizzati i contributi, prima che nella catalogazione o nel re
stauro di opere d’arte. E di tetti che fanno acqua ve ne sono parecchi. Naturalmente, oltre alla conservazione degli edifici, vi sono anche altri capitoli di spesa. Per esempio, il restauro e la riattivazione di organi antichi: l’organo è per eccellenza strumento da chiesa, legato alla liturgia. E in questi ultimi anni abbiamo assistito a una sua ripresa, in diverse parrocchie. Negli ultimi sei anni la Chiesa italiana ha restaurato 600 organi antichi per una spesa totale di circa nove milioni di euro. Per la diffusione della cultura molto impegno è stato riversato nell’apertura di nuovi musei. Oggi la Chiesa è giunta a disporre, sul territorio nazionale, di un migliaio di musei (diocesani, parrocchiali, tesori delle Cattedrali, di singoli ordini religiosi, ecc.). E vi è una struttura come l’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani (Amei) che ne segue gli sviluppi. A questi si affiancano anche gli archivi e le biblioteche.

Oltre che conservati, i beni culturali ecclesiastici possono essere usati: nella liturgia, nella comunicazione, nell’educazione…
Certo, e oggi direi che vi sono le premesse perché siano utilizzati più di quanto si facesse nel passato recente, e meglio. Proprio perché con l’inventariazione i beni culturali sono conosciuti e apprezzati sempre meglio. Anche per questo la catalogazione si è rivelata molto importante. Da un lato ha permesso in non pochi casi di scoprire
beni di notevole valore la cui esistenza non si sospettava neppure. Per fare un esempio: è recente l’attribuzione al Moroni di una pittura della diocesi di Bergamo; attribuzione che è maturata grazie al lavoro di preparazione per una mostra dedicata a quell’artista. Ma non solo: l’attività di catalogazione ha portato molti giovani storici dell’arte ad avvicinarsi alle problematiche dei beni culturali ecclesiastici e questo ha favorito l’apertura a una specifica formazione
nel campo. Più in generale ha messo in moto un clima di vivacità e di scambio di idee, all’interno delle parrocchie, delle diocesi e tra uffici ecclesiastici e Soprintendenze, cui si può guardare con fiducia e speranza per il futuro.

"L’Ufficio ha inteso promuovere il sorgere di una rete cui partecipassero tutte le
Diocesi, per un mutuo scambio di informazioni e di condivisione sui problemi
della conservazione, della valorizzazione e della comunicazione dei Beni Culturali"

Concretamente che cosa ci si può aspettare in futuro?
Anzitutto che si prosegua nel cammino della qualificazione degli operatori, tramite corsi specifici, "master" e le altre iniziative già avviate ma che possono diffondersi ancora più ampiamente. Che i rapporti col mondo professionale e con le Università si infittiscano. Il dialogo tra Chiesa e questi ambienti professionali e universitari è fondamentale. Quando la collaborazione si realizza, i frutti non mancano. Lo abbiamo visto, tra l’altro, col Primo Premio Nazionale di Idee di
Architettura "I Sagrati d’Italia": un primo esempio di collaborazione tra Chiesa e Ordini degli Architetti, con l’attiva partecipazione della rivista CHIESA OGGI architettura e comunicazione. Questo genere di collaborazione ora si ripercuote in altri settori. A Torino per esempio vi è un primo corso di specializzazione in architettura ecclesiastica
gestito congiuntamente da Diocesi e Ordine degli Architetti. La collaborazione con l’Università già da tempo ha dato luogo a corsi di specializzazione in diverse città: a Roma, Firenze, oggi anche a Pescara e prima ancora a Bergamo e altrove. Ne traggono vantaggio tutte le parti: la Chiesa per l’apporto di competenze specifiche; le Università perché trovano uno stimolo nuovo e di grande significato. Si ritrova insomma quella relazione che già nel corso della storia ha dato frutti di assoluta eccellenza, che riempiono di opere artistiche tutte le città storiche europee e in particolare italiane. Ma che nel corso degli ultimi due secoli, per effetto dell’ondata illuministica, aveva stentato. Oggi la
collaborazione riparte, su basi e con equilibri diversi, ma con molta buona volontà da tutte le parti. E credo che Papa Benedetto XVI contribuirà a rilanciare questo fruttuoso dialogo culturale. La Chiesa italiana è impegnata in un grande progetto culturale: aspetto non secondario del quale sarà la capacità di far conoscere quel che si fa. Poiché ho
ancora l’impressione che negli ambienti ecclesiastici si faccia molto più di quel che si comunichi all’esterno. Mentre un’efficace comunicazione a tutto campo sarebbe fonte di arricchimento anche per la cultura "laica".

La Chiesa recentemente è tornata anche alla grande committenza: in quale misura è in grado di stimolare nuove produzioni?
Sono stati svolti nove concorsi nazionali per l’edificazione di altrettante nuove chiese. L’architettura delle chiese nuove è stata molto dibattuta: forse oggi ci stiamo avviando a una fase di ripensamento rispetto a quanto realizzato dopo il Concilio Vaticano II. L’architettura costituisce una base, attorno alla quale si muovono anche le altre arti. Per quel che attiene alla capacità della Chiesa di stimolare nuova produzione artistica, credo che forse occorra ancora un ripensamento – non sulle motivazioni, che ci sono e sono forti – ma sulla strumentazione critica, necessaria per rendere più facile e fecondo il dialogo con le parti interessate nel mondo delle professioni e delle arti. Sono mondi che hanno linguaggi particolari, con i quali occorre dialogare con cognizione di causa e sensibilità. Credo che si stiano muovendo molti passi in questa direzione.

Don StefanoRusso è stato nominato Direttore dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della CEI nella sessione del 7-9 marzo 2005 del Consiglio Episcopale Permanente. CHIESA OGGI architettura e comunicazione gli dà il benvenuto e formula i più fervidi auguri.

I beni culturali come vocazione: Don Stefano Russo se ne è occupato per la sua Diocesi, Ascoli Piceno, sin da quando era diacono. Ordinato sacerdote nel ’91, ha continuato nel suo impegno e dal ’96 è incaricato regionale per i Beni Culturali Ecclesi
astici della Conferenza Regionale Marche. Laureato in architettura a Pescara, Don Stefano Russo ha seguito le attività di carattere culturale svolte attorno al Grande Giubileo del 2000, per il quale ha organizzato diverse mostre presso il Museo Diocesano della sua città.

I committenti di oggi sono meglio preparati a questo dialogo con le arti?
I molti corsi da tempo aperti senz’altro hanno dato un importante impulso per la qualificazione del committente. Ma la formazione deve riguardare un po’ tutti, anche gli operatori nel campo artistico, come ha riguardato gli operatori in campo architettonico. Vi sono tutte le premesse perché questi molteplici passi di avvicinamento siano intrapresi da tutte le parti. Certamente il committente deve essere pronto e capace di dialogare. Ne abbiamo avuto riprova anche recentemente, col “Concorso sulla Casula”, svolto nell’ambito della recente fiera Koinè. Una nota stilista invitata a presentare una sua creazione, pur essendo persona molto colta in fatto di storia dell’arte e della moda, non sapeva nulla sulla casula, sul suo uso liturgico e sul suo significato. Opportunamente edotta in merito, ha presentato un’opera di notevole pregio. E’ un piccolo esempio di come concretamente il dialogo possa avvenire. E anche di quanto può essere fruttuoso.

Leonardo Servadio

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