L’aula liturgicaQuale spazio?

 

P. Andrea Dall’Asta

Dall’epoca del Concilio Vaticano II abbiamo assistito a diverse sperimentazioni riguardo alla conformazione dell’aula liturgica. A trentacinque anni di distanza dal Concilio è forse tempo di riaprire un dibattito sull’argomento. Richiamiamo qui alcuni pasaggi fondamentali dei documenti della Chiesa sullo spazio liturgico, mentre il p. Andrea Dall’Asta ci offre una riflessione sul tema generale dello spazio.

S pazio. Parola usuale, quasi banale del nostro vivere quotidiano. Chi di noi non ha forse chiesto: “Dove sei, dove ti trovi?”. La risposta che attendiamo è allora la precisazione di un luogo, di uno spazio definito da punti d’orientamento, da coordinate “spaziali”. Chi di noi ancora, trovandosi in luoghi stranieri, non ha forse ricordato i suoi “spazi”, come se attraverso un’anamnesi dei suoi profumi, colori e suoni, potesse comunicare con le persone a lui familiari? Spazi dei quali ci siamo appropriati, concentrandovi e condensandovi rimpianti, attese, ricordi… Certo, lo spazio è un luogo fisico, misurabile secondo le regole della matematica e della geometria. Tuttavia, la sua forza risiede nella sua carica espressiva e simbolica. Lo spazio non è mai riconducibile ad una logica razionalefunzionale. Per questo, gli spazi della nostra fanciullezza e adolescenza, meglio, delle nostre origini, sono più reali dei luoghi del nostro esistere quotidiano. Non nasciamo in uno spazio indifferenziato, neutro o impersonale. Questo spazio appartiene alla storia, alla nostra storia, plasmando le nostre esperienze di vita, come se quello “spazio” fosse una struttura originaria del nostro esistere. Come se la nostra coscienza non potesse fare a meno d’incarnarsi in quello “spazio”, denso e carico di significati affettivi. Spazio della vita, dunque, in cui ci orientiamo, poniamo punti di riferimento e di relazioni umane. Spazio della nostra storia. Lo spazio è prima di tutto “spazio vissuto”, “percepito” che ci dischiude a un orizzonte di senso. Così quello spazio che circoscrive la soglia di casa. Spazio-diaframma, che si pone dialetticamente tra l’intimità di una pace da viversi nei silenzi delle nostre stanze interiori e l’apertura a un mondo che si dischiude magicamente attorno a noi, non appena varchiamo la frontiera di una soglia. Spazio limite del vivere quotidiano, luogo d’accoglienza e di fraternità per l’amico che attendiamo, ma che si trasforma in spazio di tensione e di violenza nei confronti di quello straniero che chiede insistentemente qualcosa o che vuole sottrarre un bene che ci appartiene. Luogo ambivalente, ambiguo. Anche uno spazio sacro, da luogo in cui una comunità si ritrova per vivere la propria fraternità e identità nella preghiera, può trasformarsi in luogo d’esclusione e d’ostilità, per chi non condivide la stessa fede. Paradossi dello spazio, che è mai semplice contenitore, ma che segue l’universo delle contraddizioni umane. Che lo spazio sia soprattutto un luogo simbolico, lo possiamo comprendere dalla storia delle nostre origini. Come lo spazio misterioso e oscuro descritto dalla Genesi, al momento della creazione. Spazio vago, caotico, informe, come un denso magma incapace di essere riscattato dalla sua inerzia e impotenza. Spazio del non senso, sul quale solo un soffio leggero indica la possibilità di un’apertura alla vita. Attraverso un grandioso gesto cosmico di separazione, Dio crea un nuovo spazio, distinguendo le acque inferiori da quelle superiori e il tempo, alternando il giorno alla notte. Mistero di una Parola che crea un senso per l’uomo. In un continuum indifferenziato, un ordine è posto. La vita può così essere accolta, in tutte le sue forme vegetali e animali. Il caos informe degli abissi si trasforma in uno spazio per l’uomo del quale Dio stesso gioisce, lodandone la Richiamiamo qui alcuni passaggi dei documenti magistrali della Chiesa emersi dal Concilio che riguardano l’assetto dell’aula. “Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente della loro idoneità a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli.” (Sacrosanctum Concilium, n° 124, 2). “Nella chiesa vi sia di norma l’altare fisso e dedicato. Sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea.” (Principi e norme per l’uso del messale romano, n° 262). Le indicazioni date dal Concilio lasciano alla perizia e alla sensibilità del progettista, nonché al dialogo tra questi e il Committente, il tema della conformazione dello spazio. La domanda pertanto è: quale la migliore conformazione spaziale, quale la relazione tra altare e assemblea più adatta per favorire la partecipazione attiva? Poiché nel corso dei trentacinque anni trascorsi dal Concilio abbiamo visto sorgere chiese nuove con le sistemazioni più diverse (aule a base quadrata, circolare, ellittica, triangolare, romboidale, irregolare, ecc.) sembra utile aprire un dibattito sul tema della conformazione dello spazio dell’aula liturgica. Valentino Vago Apocalisse (affresco nell’intradosso della cupola della parrocchia di S. Giorgio presso Legnano) bontà e la bellezza. Anche la mitologia greca ricorda come la storia del cosmo sia contrassegnata da un lento e sofferto procedere verso un’unità di senso. Se la cecità e l’irrazionalità di pulsioni cosmiche caratterizzano le origini della vita dell’universo, un significato può essere ritrovato, grazie alla potenza vitale di Eros, che crea un ordine attraverso l’unione dialettica delle forze opposte primordiali. Alla dispersione informe del molteplice, un’armonia è così posta al cuore della vita cosmica… Magica armonia. Che così è, infatti, la vita terrestre, se non la mimesi di una danza meravigliosa che si svolge nei silenzi di un cielo stellato? Usando il linguaggio platonico, potremmo dire che gli spazi del mondo ricevettero ordine e bellezza grazie a un demiurgo che plasmò come per magìa la Chora (spazialità), secondo il modello di forme ideali. Dagli abissi incommensurabili del caos, uno spazio umano si dischiuse così alla vita, aprendosi a un fine, a un telos, secondo il quale la Natura esprime sempre la possibilità migliore, ricorda Aristotele. Alle origini dell’uomo, troviamo il suo desiderio di pensare uno spazio destinato all’accoglienza della vita, della nostra vita. Dal caos all’ordine,dal non sen-so dell’informe alla bellezza di un’armonia, di un accordo. Ma oggi? Come spiegare il disordine degli spazi nei quali viviamo? Mancanza di progettazione delle nostre città, scempi edilizi, improvvisazione progettuale, architetture che tentano maldestramente di giustificare la loro bruttezza e deformità ostentando il loro carattere funzionale, interessi particolari, tutto sembra farci pensare a quello spazio disarticolato e senza simboli, al quale l’uomo greco e biblico cercavano di sottrarsi. Spazi confusi, caotici e mostruosi. Spazi del “non ricordo”. E’ forse un caso se le contemporanee teorie fisiche, per spiegare l’evoluzione dell’universo, danno particolare ri-levanza al concetto di caos? Ma se tutto è caos, lo spazio della vita rischia di trasformarsi in quello della morte, in cui tutto si equivale, perdendosi nell’indifferenziazione, meglio, nell’indifferenza di un mondo che non ammette il valore di reali relazioni simboliche e affettive. Si è spesso parlato della perdita di simboli della civiltà contemporanea. Com’è allora possibile creare spazi per l’uomo, in tutte le sue dimensioni umane e spirituali? E’ forse questa una delle sfide maggiori dello “spazio” contemporaneo, meglio dell’uomo d’oggi?
P. Andrea Dall’Asta, S.I.
Direttore, Galleria Centro Culturale San Fedele (Milano)

 

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