L’art director di Edra

a colloquio con Massimo Morozzi art director di Edra

In certi momenti mi sento come uno stilista che cerca di portare avanti un’idea di collezione.

intervista di Walter Pagliero


Cosa si prova ad aver creato lo stend di maggiore interesse qui al Salone del Mobile?
Ti ringrazio, ma forse non tutti sono del tuo parere. Io ho fatto quel che mi piaceva, spero che chi lo visita provi delle emozioni positive. Sei riuscito ad avere come collaboratori designers sempre in sintonia con le tue convinzioni.
Sei istintivamente un pigmalione o è solo una strategia?
Questa attività di art director è un lavoro che si fa insieme con altri progettisti ma anche con persone che lavorano all’interno dell’azienda. E’ una concertazione che parte da scelte generali fatte all’inizio, le quali portano necessariamente alla ricerca di affinità.
Chi sono gli ultimi acquisti del team?

Tra i nuovissimi progettisti non c’è un italiano, anzi spesso provengono da parti del mondo lontanissime da noi come il Brasile e l’Australia. Quindi, in questo momento, le affinità sono mondiali. Da un lato c’è un metodo di lavoro che da sempre ha caratterizzato il design italiano, dall’altro c’è la constatazione che il progetto generale non ha più confini. Così come avviene per la moda?
Esattamente. In certi momenti mi sento come uno stilista che cerca di portare avanti un’idea di collezione. Quando sento quelli della moda che nelle interviste dicono “la mia donna è questo e quest’altro” mi fanno proprio invidia. Anch’io vorrei dire “questa mia collezione di divani è per una massaia sognante e immaginativa”. Ma poi mi licenziano.
Nel design italiano ci sono strategie modaiole?
Penso di sì. Per esempio quest’anno attraverso la scelta del colore (un rosa molto emotivo) ho voluto dare una dimensione new age ai miei divani, seguendo la traccia di una serie di nuovi interessi che mi coinvolgono. Per esempio: l’irruzione del virtuale nella vita reale, anche in quella domestica.
E’ una spinta verso l’onirico?
Non soltanto. All’inizio dell’estate scorsa ho visto al Bobourg una grande mostra di arte new age che mi ha molto colpito proprio per il contrasto con l’arte degli ultimi tempi basata sulla corporeità. Tutto sembrava svanito in una dimensione di vuoto, in realtà molto carico. Si trattava di opere che non sembravano avere riscontro col paesaggio metropolitano di tutti i giorni. Ma penso che anche gli oggetti d’uso, se vogliono sopravvivere, devono entrare in sintonia con le novità magmatiche del nostro tempo, siano esse oniriche, dolci o un po’ stucchevoli.

 

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