L’architettura “in progress”

Diretto da: Carlo Chenis
Periodico allegato a Chiesa Oggi architettura e comunicazione

Un prodotto diveniente

L’architettura cultuale riveste spazialmente l’incontro tra Dio e l’uomo. Da parte umana, si parametra sulle modalità di immaginare il luogo della presenza divina, dal momento che l’anelito religioso è insopprimibile; da parte divina, si imposta sulla logica dell’incarnazione, dal momento che il cristianesimo crede nella venuta sulla terra del Messia. Entrambi gli aspetti ipotizzano un riferimento culturale e conseguentemente un divenire storico. Le forme dell’architettura cultuale
dipendono dunque dal contesto: dal modo di concepire e di rappresentare il sacro e l’ineffabile. La variabilità dei contesti è dovuta al rapporto tra abilità tecnica, genio produttivo, assetto sociale, circostanze storiche, convincimenti dottrinali, impostazione liturgica, ambiente naturale, risorse economiche. Di conseguenza, l’immaginario cultuale si è notevolmente
differenziato per epoca e per territorio, così che l’architettura cultuale è un prodotto connaturalmente in progress. Essendo il culto l’elemento più intimo e significativo del vissuto umano, ogni comunità religiosa commisura lo spazio cultuale al proprio immaginario. In ambito cristiano è impensabile una struttura cultuale immutabile, poiché non corrisponderebbe all’inculturazione della fede nel divenire storico. L’«immobilità» di un monumento documenta il momento
di estinzione della cultura che lo ha prodotto. Pertanto con l’avvio esecutivo di un edificio cultuale si apre una «fabbriceria» destinata auspicabilmente a continuare il proprio lavoro lungo l’intero arco di vita dell’edificio. Ad essa compete di costruire e trasformare senza travisare quanto offerto dalla dottrina, dalla liturgia, dalla cultura, dalla collettività. La fabbriceria permette di gestire le pulsioni di ogni epoca, adoperandosi affinché il sacro edificio non venga a perdere la propria organicità estetica e cultuale.

Un sistema mutevole

Il costruttore di chiese deve augurarsi che quanto edifica subirà congrue trasformazioni. In tal modo l’edificio continuerà ad essere vivo, facendosi immagine simbolica di una comunità orante e del corpo mistico. Cultura e religione si coniugano nel sostenere i processi intesi allo sviluppo e alla trasformazione dello spazio rituale.Tale dinamismo va disciplinato per non essere a nocumento della sua unità complessa. Ogni intervento è ordinato a conservare il senso sacrale e
ineffabile del luogo attraverso la bellezza estetica che trova il suo apice nell’azione liturgica. Pertanto il sacro edificio non è solo in progress per quanto concerne il sistema strutturale, ma anche per quanto concerne quello rituale. Esso muta con le diverse utenze celebrative, per cui la sua fruibilità rituale necessita di effimeri, arredi, suppellettili, luci, vesti, fiori, profumi.Tutti questi elementi vanno tra loro organizzati in«installazioni» idonee alle diverse celebrazioni. Non si può allestire un sistema scenografico ugualmente idoneo per un battesimo, un matrimonio, un funerale. Dal momento che il culto conduce alla pregustazione del paradiso, l’edificio deve altresì appagare le esigenze fisiche delle persone, per cui va climatizzato e sonorizzato. Anche la percezione dell’edificio è in progress. Pertanto quanto si fruisce di una chiesa nelle sue molteplici performance celebrative è all’insegna del nova et vetera, così da indurre a nuove conoscenze, suggestioni,
fantasie. Ci sono infatti svariate condizioni psicologiche individuali e collettive, per cui l’impatto con un monumento genera situazioni emotive molto diverse; articolato è il fronte cognitivo, per cui non è possibile che tutti colgano le medesime evidenze oggettive; distinte sono le generazioni a cui è destinato un monumento, per cui mutano gusti e bisogni.

Una regia organica

L’architetto di chiese è chiamato a generare un organismo cui deve essere permesso di svilupparsi nel tempo raggiungendo, di volta in volta, diverse perfezioni formali nella persistente sostanzialità sacrale e cultuale. Data questa complessità di aspetti, il progetto esecutivo non può risolversi in un impegno solitario. Occorre un lavoro interdisciplinare per comprendere quanto esige un monumento dedicato al sacro in contesto cristiano.Questo lavoro non riunisce mere
competenze tecniche ed ecclesiali; ogni abilità deve armonizzarsi con il genio creativo, affinché il risultato abbia sempre una intrinseca unità. Come il filosofo ha un arbitrato epistemologico sulle scienze positive, perché ogni risultato sia ordinato alla persona umana, così l’architetto è regista nel comporre le soluzioni spaziali, affinché ogni elemento del complesso sistema sia finalizzato all’evento cultuale. La sua genialità inizia quando sono assolte le esigenze funzionali, le
istanze della committenza, le problematiche tecniche, il componimento espressivo, le diverse opinioni. Se la costruzione ex novo di una chiesa presenta notevoli difficoltà, altrettante ne presenta l’adeguamento di un sistema monumentale preesistente. Questo sforzo compositivo non indica una iattura per l’edificio dedicato al sacro, bensì il suo normale svolgimento fisiologico.Dal momento che ogni struttura cultualeè in progress, conformemente allo sviluppo della
comunità cristiana, essa va «consumata» da ogni generazione che esercita il diritto e il dovere di conservarla
adeguandola. Memoria e attualità sono i termini dialettici della vitalità estetica della chiesa edificio. Il fiat generativo di un complesso dedicato al sacro genera un organismo mutevole e diveniente. È idolatrico pensare a un edificio sacro immutabile, poiché contraddice il divenire contingente e culturale, il cammino religioso, la logica incarnazionista. In tale contesto ideologico l’architetto che avvia la generazione e quello che interviene nell’organismo generato devono essere in sintonia di ideali anche se culturalmente discrepanti. Quindi chi arriva dopo deve intuire la filosofia dell&rs
quo;edificio nella complessità originaria e nelle successive superfetazioni, così che quanto va modificando o aggiungendo rientri nella
sostanza architettonico-spirituale dell’intero sistema. È infatti importante evitare soluzioni superficiali che possono risolvere bisogni funzionali, ma dissestano il complesso monumentale. Ciò che si aggiunge, a cagione degli adeguamenti liturgici e dei mutamenti culturali, entra a far parte del flusso costruttivo requisendo a priori la nota della «reversibilità». Se si allarga il senso di tale accezione la chiesa edificio potrà realmente sussistere in progress senza troppi fissismi
storicistici.

Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB

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