L’architettura e il controllo climatico naturale


Intervista a…

A colloquio con Massimiliano Fuksas, a proposito della nuova università panafricana di Abuja, in Nigeria

Testo Leonardo Servadio
Foto Courtesy M. Fuksas

"Tra i progetti presentati al concorso, il mio era quello che rifiutava la verticalizzazione oggi tanto di moda”. Massimiliano Fuksas ha vinto lo scorso anno il maggiore concorso internazionale mai organizzato dal Riba, il Royal Institute of British Architects, per la costruzione della nuova università di Abuja, la capitale nigeriana. Tra gli altri invitati al concorso, Allies & Morrison, Rem Koolhaas e Rafael Vinoly. L’Istituto Africano di Scienza e Tecnologia è stato lanciato dalla Fondazione Nelson Mandela, sudafricana, di concerto con la Banca Mondiale, organismo delle Nazioni Unite.
«Ho rifiutato di seguire l’onda della globalizzazione, per la quale si vedono edifici a torre – spiega l’architetto – tutti più o
meno simili nell’impostazione, dall’Europa alla Cina.

E’ forse il più importante tra
i miei progetti. Non per le dimensioni,
ma per il suo significato
per il futuro dell’Africa…
concepito pensando alla cultura e alle
tradizioni locali…

Massimiliano Fuksas
(foto Maurizio Marcato)

Ho cercato invece di attenermi alla tradizione africana. Lo considero forse il più importante tra i progetti da me concepiti, non tanto per le dimensioni, che sono notevoli (l’area è di 233 acri e vi si costruiranno 250 mila metri quadrati di edifici destinati a ospitare docenti e studenti, aule universitarie, biblioteca, rettorato e uffici amministrativi, un centro sportivo), quanto per il senso sociale e politico dell’intervento. Sarà un’università panafricana, destinata a permettere a scienziati, docenti, tecnologi, giuristi, economisti che da questo continente sono emigrati nelle università e nei centri di ricerca del mondo occidentale, di tornare qui e aiutare a far crescere la nuova élite del sapere continentale: un’élite che faccia nascere l’Africa del futuro. Per questo al centro di tutto il complesso, nella piazza principale, ho voluto porre una lastra dilavata da un velo d’acqua che reca incisa
una frase di Nelson Mandela che lessi anni fa e che mi è rimasta impressa: “… la formazione è il grande motore dello sviluppo della persona. Con l’educazione il figlio di un contadino può diventare un medico, il figlio di un minatore direttore della miniera e il figlio del fattore può diventare il presidente di una nazione. Le persone sono tutte diverse: non per quello che posseggono, bensì per come sanno migliorare quel che hanno per le mani…” Ecco: qui
sta il nocciolo del progresso e della democrazia, qui l’essenza della capacità di aspirare a un futuro migliore. E questo mi inorgoglisce: sapere che da questo luogo del sapere sorgerà il continente del futuro. E l’Africa è il continente del futuro…».

In basso, schizzo dell’area e tavola di progetto.
Pagina a lato, in senso orario: studio del masterplan, masterplan, viste interne e esterne, la piazza Nelson Mandela.

Ma perché allora rivolgersi a tecnologie tradizionali? «Non precisamente, gli edifici saranno in cemento: mi sarebbe piaciuto ricorrere alle edificazioni tradizionali locali, ma ormai la manodopera ha acquisito le tecnologie costruttive occidentali. Tuttavia nel progetto tengo conto della cultura locale: gli edifici sono bassi, il masterplan si adagia sul terreno seguendone le particolarità, il corso d’acqua resterà intatto, l’asse principale del complesso si rivolge alla montagna sacra della popolazione autoctona, gli Asokoro. Non si progredisce abbandonando la tradizione, ma edificando in continuità con essa. Io apprezzo la cultura africana: da anni, ben prima che diventasse di moda e fosse
oggetto di speculazione, raccolgo oggetti d’arte locale. Trovo in essi quella spontaneità, quella vivida e prorompente
autenticità che l’arte occidentale ha perso da tempo».

E questo per gli edifici che cosa vuol dire?
«Di questo paese, sin dal primo impatto dall’aereo, impressiona l’intenso colore rosso scuro, terrigno, corposo. Questo
è il colore che insieme col grigio distinguerà i diversi edifici del complesso.
Coperture, muri ventilati, aperture sono studiati per favorire il controllo naturale del clima interno. Vi sono passaggi
coperti, pergolati. Le finestre sono dislocate in modo tale da favorire la corrente d’aria che naturalmente si forma
tra la parete riscaldata dal sole e la parete opposta.

E poi i frangisole, le schermature…
Nell’antica arte costruttiva africana c’era questa conoscenza del controllo climatico realizzato tramite schermi e
aperture d’aerazione. Oggi lo
riprendiamo: ma non è semplicemente un tornare al passato. E’ quello che si richiede
per favorire lo sviluppo sostenibile e evitare sprechi di energia».

 

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