Kachelofen nel museo


Il progetto di restauro reinventa con segno contemporaneo le sale del Palazzo dei Vescovi che erano anche principi di Bressanone e recupera le antiche stufe, come magnifici elementi d’arredo.

Il palazzo dei Vescovi eretto nel XII secolo, e che in diverse occasioni ospitò l’imperatore in viaggio verso Roma, oggi è diventato la sede del Museo diocesano della città altoatesina. Si conserva invariato il profilo datogli dai restauri realizzati in stile rinascimentale nel XVII secolo, ben ravvisabile nei loggiati e nelle statue ospitate nelle nicchie del cortile interno (1). Nelle sue sale si riconosce tuttora il fasto della magione principesca: tra le opere d’arte e di devozione acquisite dal tesoro della cattedrale e dalle chiese della regione, spiccano ancora gli arredi dell’antica residenza, e tra questi le sontuose stufe in ceramica, le Kachelöfen che proprio in quell’epoca e in questa zona hanno raggiunto il loro massimo splendore. Così nella Sala degli Imperatori (2), accanto ai sedili riccamente ornati con fregi
d’oro, tra gli arazzi e gli affreschi sulla volta e sul soffitto, è conservata una imponente stufa in maiolica in cui i disegni dalla tinta azzurra narrano storie di santi e di eroi. E nella sala dedicata all’artista medievale Hans klocker (3) si trovano statue e bassorilievi lignei di pregio, ma fa bella mostra di sé anche il fronte di una Kachelöfen decorata con pannelli alternati verdi e azzurri. Nella sala dedicata alle opere medievali realizzate da autori della cerchia di Michael Pacher (XV secolo) l’espositore centrale è dedicato alla preziosa immagine della Madonna in trono (1465/70), dalla Collegiata di Nostra Signora di Bressanone.
Il camino angolare (4) è tipico degli ambienti di ridotte dimensioni.

A Bressanone, tra tesori di arte medievale e oggetti sacri,
sono esposte, come opere d’arte, le tradizionali stufe alpine

La maiolica dipinta in verde scuro si presenta forse meno raffinata nel disegno, rispetto a quella delle altre stufe.
Gli sportelli metallici denunciano un uso più funzionale dell’oggetto.
La stufa che trova posto nella sala oggi dedicata ad alcune opere plastiche del primo barocco (5) risalta con particolare evidenza. Le dimensioni relativamente ridotte della stanza ne mettono in rilievo l’alto volume che, pur nella corposità non indifferente trova un certo slancio nel restringersi della parte superiore e nel fregio a girali che si alza sulla cornice superiore.
Le fasce orizzontali chiare e le specchiature sagomate che dividono le facce della stufa, ne alleggeriscono la presenza e stemperano la massa del colore grazie ai giochi di riflessi luminosi che la superficie borchiettata promana. Il suo volume scultoreo poggia su piedini sagomati (la cui forma evoca motivi vegetali), anch’essi in maiolica, che presentano
la stessa scansione cromatica del corpo della stufa.
Tale è la forza della sua presenza che, nell’organizzare il percorso museale, le statue esposte sono state collocate in
modo tale da rivolgersi verso di lei. La stufa così assume una condizione di particolare preminenza, da corredo dal
valore funzionale, quale è alla sua origine, diventa ornamento e poi anche elemento che focalizza l’ambiente: autentico centro di gravità delle energie che misteriosamente l’intorno raccoglie e rappresenta nel suo disporsi. La pavimentazione a piastrelle bianche e verdi su cui poggia, che sono anch’esse testimonianza della sistemazione originaria, e sottolineano la misura in cui la stufa dominava l’ambiente: le piastrelle infatti ripetono i colori della Kachelöfen. Ma per contrasto la loro densità di colore diventa espressione di maggiore gravità. Su di esse, la stufa risalta con leggerezza grazie alla scomposizione dei rilessi di luce della sua variegata superficie. E questo gioco di pesantezza/leggerezza è in fondo indice della maestria compositiva dell’artefice.

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Il sistema espositivo
Il percorso museale è organizzato diacronicamente in sale in cui si allineano oggetti di culto e opere d’arte che risalgono al medioevo, al barocco, al classicismo, al romanticismo, fino all’arte contemporanea. E’ il maggiore in Italia, ed è anche il più antico: è stato costituito agli inizi del ‘900. Le sue collezioni sono particolarmente ricche e bene organizzate negli ampi spazi del palazzo che appartenne ai principi-vescovi: il suo emblema è la pianeta di San Alboino, dell’anno 1000, tinta della porpora che era segno di potere, ornata con motivi a forma di aquila, espressione dell’impero. Le Kachelöfen, come quella di Bartholomaeus Dill Riemenschneider, che risale al 1546 (6) stanno con pari dignità tra questi inestimabili tesori.

(Leonardo Servadio)

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