Italia – Stati Uniti d’America – Due modi intendere l’architettura


Prima l’Italia, poi gli Stati Uniti. Da N.Y. al deserto di Sedona. Ritratto di Aldo Andreoli,
interprete del presente attraverso progetti che abbracciano bioarchitettura e filosofia Zen.

Intervista di: Costanza Genolini, architetto

Dopo la laurea in architettura a Torino si è trasferito a New York. L’interesse per la filosofia Zen è una sorta di
reazione alla megalopoli americana?
Sicuramente sì. Il livello di saturazione urbana delle grandi metropoli americane, ma anche di quelle europee e asiatiche ha raggiunto dei livelli tali per cui è il buonsenso stesso a suggerire all’uomo di muoversi fuori dalle grandi città. Buonsenso che porta a spostarsi e a vivere in luoghi dove una minore concentrazione urbana, una purezza dell’aria priva di inquinamento atmosferico ed acustico, permette di abitare in spazi dove risulta più facile interagire con gli altri e dove, anche da un punto di vista economico, è possibile permettersi locali di grandi dimensioni, ma a costi maggiormente accessibili. (…). Gli Stati Uniti d’America sono un Paese molto esteso ma abitato solo da 350 milioni di abitanti. Questo permette alle persone di spostarsi liberamente alla ricerca di posti meno popolati. Ma non senza conseguenze. Una delle principali è rappresentata dal traffico che sta diventando sempre più intenso. Le strade sono affollate da persone che si spostano secondo flussi intensi e vanno alla ricerca di una qualità migliore di vita. (…)

Aldo Andreoli si è laureato in architettura a Torino.
I suoi studi italiani, i molti viaggi e vent’anni di lavoro come progettista negli Stati Uniti hanno contribuito a formare la sua particolare sensibilità progettuale. Nel 1992, a New York, Andreoli ha fondato SANBA, una compagnia specializzata nel rinnovo di edifici loft nella parte Sud di Manhattan. Nel 2001, dopo l’attacco alle torri gemelle, si è trasferito a Sedona, Arizona. La filosofia di SANBA è la comprensione che l’architettura verde – sostenibile in spazi flessibili e anticonvenzionali sia la forza trainante nel futuro del design.
Aldo Andreoli

Oggi è importante, secondo me, cercare di cogliere i vantaggi offerti all’uomo dalla tecnologia, ma mediandoli con il bisogno sempre più intenso di un ritorno a una dimensione naturale. Ciò non va inteso come un ritorno al passato, ma come un ponte verso un futuro in cui la qualità di vita diventi migliore. È la strada che stiamo cercando e il futuro dove stiamo andando. La tecnologia permette all’uomo di interagire con tutto il mondo in un solo attimo. Internet
rappresenta l’esempio concreto di come è possibile interagire con il resto del pianeta senza aver bisogno di vivere in una grande città. Io l’ho scoperto vivendo in un posto come Sedona, luogo isolato, piccolo, ma al tempo stesso ben collegato con il resto del mondo. Un luogo che ho avuto la fortuna di scoprire grazie al mio ventennale interesse per la meditazione e le religioni orientali, un interesse che ha fortemente influenzato le mie scelte professionali.

Bioarchitettura, Feng Shui e architettura Zen. Queste tre correnti influenzano in qualche modo la sua architettura. Sono presenti anche nella scelta dei luoghi, degli spazi, dopo il periodo di New York?

Sedona è il centro spirituale degli Stati Uniti, ed è una cittadina dove è presente un’altissima concentrazione di buddisti, di taoisti, di appassionati di yoga, di metafisici e di terapisti del massaggio. È il luogo dove tutti gli amanti di queste correnti di pensiero possono essere liberi di praticarle. Sedona ha sostituito nei cuori gli Height Hashbury di S. Francisco, centro storico in cui sono nate le prime correnti di impronta orientale, negli anni settanta, con i famosi figli dei fiori . Il deserto è intriso di sapore orientale. In questo luogo estremamente suggestivo sono presenti delle strane formazioni rocciose che si ritiene emanino un’energia particolare: i cosiddetti “vortici”. Si dice che alcuni di questi si trovino nel Boynton canyon, dove gli indiani Hopi si incontravano una volta all’anno per celebrare cerimonie sacre. Questa sacralità, questa magia così fortemente presente nell’immensità di questi spazi ha profondamente cambiato la mia maniera di fare architettura. Il mio obiettivo è diventato quello di fondere armoniosamente la natura con l’architettura, in un magico e dinamico unicum, dove non esiste una barriera tra il paesaggio e la vita dell’uomo.

Nelle foto: alcune immagini di “Luna Rossa”.
Progetto: Aldo Andreoli
Hanno collaborato: Interior Designers Simone Mussa
Arredamento Simona Ciancetta e Bruno Rinaldi
Foto: Blacky Schwartz

Secondo me, nel momento stesso in cui si pensa di realizzare un’architettura in un ambiente naturale, in una natura così bella, così incontaminata, dove è molto difficile, una volta che viene toccato il paesaggio e il terreno, ripristinarlo così come era prima, si compie una scelta ben precisa. Il deserto non è un luogo dove è facile ripristinare, piantare, irrigare e creare di nuovo. È un luogo dove esiste una natura con degli equilibri molto fragili e dove tutto è molto delicato. Una volta che viene toccato lo strato superficiale del terreno, durante la costruzione di una casa, è impossibile ritornare allo strato di prima. A questo proposito mi sono reso conto, durante il cantiere di Luna Rossa (nelle
foto), dell’importanza di quello che toccavo, della sacralità dei luoghi con cui interagivo e soprattutto che dovevo lavorare con un rispetto totale per la natura che mi circondava. (…) Possiamo imparare molto dalla storia e dalla cultura ereditata dagli indiani d’America e non solo da loro. L’architetto Paolo Soleri, ad esempio, è un architetto torinese che negli anni settanta aveva già pensato all’idea di realizzare delle strutture orientate in base al soffiare dei venti e al movimento del sole, in modo da ottenere un riscaldamento e un raffrescamento naturale, senza l’uso di elettricità. È considerato uno dei precursori dell’architettura ecologica del pianeta e in Arizona ha realizzato l’interessante villaggio di Arcosanti, comunità che ancora oggi è mèta di viaggio per architetti di tutto il mondo.

Qual è secondo lei il sistema costruttivo e il materiale più utilizzato oggi negli Stati Uniti d’America?
Il sistema più usato oggi, in ambito architettonico, è quello che vede il legno come materiale principale. Ciò è possibile anche grazie alla presenza di grandi foreste in tutto il nord degli Stati Uniti i cui alberi hanno da sempre fornito la materia prima.
Oggi le cose stanno però cambiando. Da alcuni anni si tenta di proporre materiali diversi dal legno come ad esempio la terra cruda. A questo proposito è interessante la figura di Rick Joy, architetto americano, che ha riproposto il tema dell’adobe messicano (la classica costruzione in terra cruda) in chiave moderna.
Quello che sta cambiando oggi, è che si sta assistendo a un tentativo di impiegare in campo architettonico materiali naturali, grezzi, riciclabili e a basso impatto ambientale, senza dover per forza disboscare il territorio. (…).

Architetto, vorrebbe poter fare architettura in Italia?
Moltissimo. Mi piacerebbe aver la possibilità di prendere il mio modo di fare architettura, la mia esperienza americana e portarla in Italia. Vent’anni di America. La mia comprensione dell’architettura, il modo diverso di intendere la figura dell’architetto, che in Italia è visto come un artista, un creativo, mentre in America è considerato come un tecnico, come un ingegnere. L’esperienza acquisita in questi due grandi Paesi mi ha permesso di diventare più pragmatico nella maniera di progettare, ma allo stesso tempo di non perdere la mia parte creativa.

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