INTRODUZIONE – La tradizione e l’innovazione

Maria è la maggiore dei quattro figli della famiglia Dujovne-Hirsch: l’unica che ha continuato sulla strada dei genitori, seguendo una tradizione radicata. Lo Studio infatti nasce col padre di Berardo, ingegnere progettista e costruttore: si è dunque alla terza generazione. Lo Studio racchiude anche un’innata propensione internazionale. Silvia Hirsch, argentina di seconda generazione, ha origini francesi, è Cavaliere di Arti e Lettere del Governo francese e con Berardo ha compiuto parte dei suoi studi in Francia.  

“IL VECCHIO PORTO DIVENTA PRIVILEGIATA ZONA RESIDENZIALE”

Entrambi sono docenti alla Facoltà di Architettura e Urbanismo di Buenos Aires: Silvia, già vicepresidente dell’Associazione degli Architetti, insegna “Introduzione al progetto”, Berardo, Decano di Facoltà, già Vicerettore e Preside, insegna “Composizione architettonica”. La loro opera è alla radice della trasformazione del vecchio porto di Buenos Aires.Quanto l’architettura sia arte del riabitare l’ambiente, ovvero del modificarlo, più che del costruirlo, è chiaro quando dal singolo edificio si passa a considerare la scala urbana. La bravura del progettista si fonda anche sulla coscienza che ogni intervento ha un valore paesaggistico. A Buenos Aires questo fatto risulta evidente in modo quasi travolgente con la risistemazione di Puerto Madero, costruito a fine ‘800 per far fronte allo sviluppo dei traffici navali, secondo un piano presentato dall’uomo d’affari da cui prende il nome.I suoi bassi fondali lo resero in breve obsoleto a causa del rapido aumento di tonnellaggio delle navi. A metà degli anni ‘20 fu completato un nuovo porto, subito a nord del vecchio. In questo rimasero in funzione solo i depositi, ma nel corso degli anni l’area, una propaggine urbana che la serie di darsene separa dal centro storico della città, fu progressivamente abbandonata. È risorta a partire dal 1992, col nuovo Master Plan.

PUERTO MADERO PERFEZIONA L’ARTE DEL RIABITARE LA CITTÀ

Qui lo Studio Dujovne-Hirsch ha dato vita a una serie di interventi che resteranno come emblematici del nuovo corso che non solo ha portato a realizzare un intero nuovo quartiere urbano, ma anche a cambiare il volto stesso della città. Se l’edificio simbolo della rinascita è quello delle torri “El Faro”, i numerosi interventi di ristrutturazione realizzati nel vecchio porto a partire dal 1994, e in particolare quelli che riguardano i Dock 14 Costas de la Plata (del 1996) e 15 Puerto Santa Plaza (del 1997), sono rappresentativi di una filosofia della gentilezza applicata al progetto. Bisognava rispettare il profilo e il volto dei grandi depositi costruiti ai primi del ‘900 su disegno dello studio londinese Hawkshaw, Son & Hayer, ma renderli alla vita dell’oggi: in parte dedicati a condomini, in parte a uffici e spazi per il tempo libero. Bisognava trovare la sottile linea che stabilisse la continuità pur nella trasformazione. Era in gioco il problema dell’identità dei luoghi e della loro fruibilità. Un difficile equilibrio che richiede la dote rara della saggezza, che renda il contemporaneo capace di abitare l’antico senza stravolgerlo.
Dujovne e Hirsch hanno compiuto l’opera con semplicità e sensibilità perché, come spiega Louise Noelle Mereles, “il benessere dell’essere umano è la loro prima preoccupazione”.E se la serie di interventi nel vecchio porto ha la particolare forza caratterizzante di cui sono dotate le realizzazioni germinali di un processo più vasto (la trasformazione di Puerto Madero è l’opera più importante delle Americhe compiuta su un waterfront), essa fa parte di un più vasto impegno che dagli anni ‘60 spazia in diverse zone dell’Argentina, ma anche in Uruguay, USA, Panama. Edifici nuovi e ristrutturazioni in cui vige l’estetica dell’abitare più che del guardare.Dujovne e Hirsch non fanno parte della schiera di progettisti riconoscibili dalla forma delle opere: la loro architettura non è espressione artistica, ma risposta a una serie di necessità: strutturali e statiche anzitutto, e immediatamente anche abitative nell’accezione più vasta del termine, e fuori delle catalogazioni  “razionalismo”,“espressionismo”, ”postmodernismo”…) che accompagnano l’architettura contemporanea.Così nei loro progetti riprendono vigore aspetti che hanno caratterizzato la migliore architettura dall’età classica: il ritmo dato dalla ripetizione di elementi uguali ma scanditi e alternati in modo tale da formare un discorso: per esempio lo si vede nelle file di finestre sulle torri. O l’uso di pareti intese come schermature esterne che possono avere un significato statico, ma che favoriscono anche la circolazione dell’aria e il controllo climatico interno: sono soluzioni che adottano anche prima dell’avvento della sensibilità diffusa e “certificata” per il risparmio energetico.

“FUORI DALLE CATEGORIE CHE INQUADRANO
L’ARCHITETTURA ODIERNA”

“Non disegnano per esibirsi, ma per rispondere a una richiesta sociale; preferiscono che sia chi usa i loro edifici a vantarsene”, così ha scritto Jorge Glusberg dell’opera di Dujovne e Hirsch: parole in cui si legge un poco anche la sorpresa del critico di fronte a un progettare che non cerca l’appariscenza, senza con questo rinunciare all’eleganza:
ma intessuta di “understatement”.
L’eleganza della misura e dell’appropriatezza, che ha a che vedere col rispetto delle persone e della città, con le sue preesistenze e il suo paesaggio.
Perché all’architettura spetta di compaginare le esigenze più diverse, del pubblico e del privato, evitando soperchierie.
Si può dire che con Dujovne e Hirsch ci si trovi di fronte a un progettare per la dignità dei luoghi e delle persone: e questo è un valore difficilmente stimabile.

Nella foto: Progettato nel 1965, realizzato nel ‘68, questo edificio nel centro di Buenos Aires è stata la prima grande opera di Dujovne e Hirsch. Ai piani bassi ospitava la CIFRA (Camara de Fabricanes de Autopartes de la Argentina), oggi c’è un Coffee Shop. I parasole conferiscono orizzontalità alla costruzione verticale.

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