Si apre il dibattito in merito all’Editoriale pubblicato su CHIESA OGGI architettura e comunicazione n° 52.
"Indispensabile e insostituibile risulta la mediazione del liturgista il quale, non digiuno delle cose dell’arte, saprà al meglio indicare all’architetto lo spirito dei misteri che l’edificio dovrà accogliere e mediare."
Doni, sensibilità, competenze, carismi diversi devono concorrere a costruire la chiesa-casa della comunità, per la quale è concepita e pensata e voluta. Più ancora, lo sforzo di ogni vero demiurgo dello spazio, dovrebbe essere quello di dar vita a uno spazio “vivo”, capace di rinnovarsi e trasformarsi, adeguandosi alle perenni mutazioni della storia con le sue nuove domande, risposte, esigenze, mode e gusti indotti dagli innumerevoli cicli della storia e delle culture. Ecco dunque delinearsi il processo che dovrebbe accompagnare ogni tentativo di edificare una nuova domus Dei et ecclesiae. Ricevuti la proposta e il mandato, o anche una volta deciso di partecipare a un concorso per l’assegnazione di un incarico, l’architetto dovrebbe prima informarsi, specie se alla sua prima esperienza, sulla natura dell’edificio (diversa da ogni altro fabbricato) e delle sue componenti, della sua storia e della normativa canonica vigente. Quindi dovrà prendere contatto col committente e con tutti coloro che questi vorrà affiancargli (sociologi, urbanisti, consiglio pastorale) perché nessun contributo utile vada perduto. Se è credente dovrebbe nutrire di preghiera il suo lavoro, richiamando alla memoria le sue esperienze: le positive per trarne spunto e conforto, le negative per riconoscerle e fuggirle, evitando di ripeterle. Più complesso il discorso per quegli artefici dello spazio che non aderiscono intimamente al contenuto di ciò cui dovranno dar vita. In loro è ipotizzabile una probabile ignoranza del mondo liturgico e simbolico cui pure dovranno dare espressione,come pure una certa difficoltà a entrare in quel mondo per interiorizzarlo e farlo proprio. Da qui la necessità di un approfondito dialogo tra committente e progettisti, primo fra tutti l’architetto: un dialogo che si nutra di problematiche sempre più approfondite e complesse, che tenga conto non solo dei canoni estetici cui l’architetto aderisce, ma soprattutto dei valori teologici e simbolici inerenti alla materia da trattare. Un capitolo particolare sarà aperto sui temi di contrasto tra le parti. È facile prevedere opinioni diverse sia su argomenti di natura estetica sia su interessi di ordine pratico (per es. economico). Più di una volta avverrà che l’architetto, tutto teso alla creazione del “suo” archetipo (suprema aspirazione per molti di loro) mal si adatterà a ridimensionare le proprie ambizioni per adeguarsi alle esigenze di bilancio o per rispettare le preoccupazioni liturgiche del committente, il quale neppure lui spesso ha idee molto chiare e sembra attendere lumi dal professionista. Indispensabile e insostituibile risulta allora la mediazione del liturgista il quale, non digiuno delle cose dell’arte, saprà al meglio indicareall’architetto e al committente lo spirito dei misteri che l’edificio dovrà accogliere e mediare. Un’altra ragione di contrasto è spesso originata dall’ambizione d
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