Il significato del concorso

Tratto da:
Chiesa Oggi 42
Architettura e Comunicazione

Il significato del concorso

 

Mons. Giuseppe Arosio Direttore dell’Ufficio Nuove Chiese, Arcidiocesi di Milano


Mons. Giuseppe Arosio

Che cosa ha rappresentato per il committente, l’Arcidiocesi di Milano, il Concorso “Tre chiese per il 2000”?
Tale concorso si inquadra all’interno del “Piano Montini”, voluto dall’Arcivescovo, S. Em. Card. Carlo Maria Martini, per dare la loro chiesa ai quartieri nuovi sorti entro il territorio della diocesi. Il Piano Montini aveva l’obiettivo di coinvolgere l’opinione pubblica e di stimolare un aiuto reciproco tra le parrocchie. Il Concorso, lanciato nel 1989, mirava a individuare nuove voci e proposte architettoniche. Ha rappresentato in un certo senso una novità nel modo di porsi del committente di fronte al progettista. Abbiamo richiesto che i progetti venissero presentati da un gruppo, così da rispondere a tutti i requisiti architettonici, strutturali e artistici
Su questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione pubblichiamo il primo dei tre progetti vincitori a essere stato realizzato: il complesso parrocchiale “Maria Regina” di Varedo, elaborato da Contini, Ghillani e Bernardi…
Fu anche il primo a essere scelto dalla Commissione giudicatrice: quello su cui meno si discusse. A me piacque la pulizia del disegno, l’armonia tra le parti, l’integrazione con l’intorno: per questo lo proposi e nessuno si oppose.
Quale fu la ragione per cui proprio questo progetto ebbe il favore di tutti i membri della giuria? Anzitutto direi che fu la sua capacità di risposta urbanistica, che si mostrò poi capace di adattarsi proficuamente a tutte le varianti che dovemmo apportare a seguito delle richieste dell’Amministrazione Comunale. Questa volle costituire un ampio spiazzo proprio sul terreno dove era prevista la chiesa, così dovemmo arretrarla e ricollocarla su un asse ortogonale rispetto a quello su cui il progetto era stato studiato. A seguito di questi spostamenti imposti da necessità urbanistiche, furono apportate alcune varianti al progetto, quali per esempio la ricollocazione del volume del battistero, che in origine era pensato in asse con la linea di sviluppo degli edifici che compongono il complesso. Il corpo della chiesa è stato ruotato: così, invece di un ingresso solenne dallo spazio esterno, si è costituito un cortile-sagrato di ridotte dimensioni. Un ingresso quasi monastico, adatto alla preparazione spirituale. Va comunque sottolineato che questo progetto si è evoluto in collaborazione con la comunità parrocchiale.
L’aula celebrativa presenta notevoli novità…
Il velabro sospeso determina un percorso di luce perimetrale: è una importante invenzione. Sottolinea la sacralità dell’aula liturgica. Tutta l’assemblea è raccolta entro lo stesso anello di luce che fa del celebrante e dei fedeli un’autentica unità. Si tratta di una soluzione originale e liturgicamente molto ben impostata. L’aula quadrata, pur senza evitare un forte allineamento longitudinale, consente la presenza dei fedeli anche ai lati dell’altare, secondo un movimento avvolgente. Altre chiese vincitrici del concorso hanno presentato invece dei problemi da questo punto di vista. Una delle critiche che sono state mosse a diversi progetti del Concorso, è stata che l’organizzazione dello spazio liturgico fosse di tipo longitudinale, secondo lo schema basilicale: la Commissione desiderava una disposizione che tenesse conto delle novità accolte nel Concilio Vaticano II.
Non c’è una forma tipo di aula celebrativa postconciliare…
L’altare rivolto verso il popolo risolve un problema: dà un messaggio chiaro, ma non è tutto; il sacerdote agisce nella persona di Cristo e in pari tempo fa parte dell’assemblea. L’impianto basilicale enfatizza la funzione di guida del sacerdote e in tal modo tende a lasciare in secondo piano la sua identità di persona. Occorre dire che celebrare in un’aula disposta secondo lo schema vecchio, tradizionale non è più un problema. In fondo i momenti in cui il sacerdote volta le spalle all’assemblea sono limitati. Forse non vale più la pena di spostare gli altari storici nelle chiese antiche. Naturalmente i progetti di chiese nuove invece devono tener conto dei cambiamenti apportati all’atteggiamento liturgico col Concilio: si tratta di un compito difficilissimo. Sarebbe interessante che nel progettare si considerasse anche la possibilità che l’assemblea si muova entro la chiesa anche in altri momenti, oltre a quello della Comunione e dell’Offertorio.
Che può dire dell’evoluzione del modo di progettare chiese nuove in questi oltre tre lustri durante i quali ha retto l’Ufficio Nuove Chiese di Milano?
Questa è stata l’epoca in cui si è superato l’equivoco degli anni Settanta, che sorgeva da un’errata interpretazione dell’affermazione “chiesa dei poveri = povertà della chiesa”, che si è tradotta talvolta in architetture dimesse. L’azione di Giovanni Paolo II, come anche quella del card. Martini, ha ridato fiducia e entusiasmo al popolo cristiano. E questo lo si vede anche in progetti di maggiore slancio, dotati di maggiore visibilità e riconoscibilità.
E che dire del ruolo che i mezzi di comunicazione di massa, come questa nostra rivista, possono avere, nell’ambito del dibattito attinente all’architettura delle chiese?
Negli anni Settanta e Ottanta erano scomparse tutte le voci che dibattevano il tema dell’architettura di chiesa. CHIESA OGGI architettura e comunicazione è stata la prima rivista che ha riportato l’attenzione sul tema: di questo dobbiamo essere grati, perché ha contribuito a ridare coraggio al mondo ecclesiastico e a coinvolgerlo più direttamente nel processo di formulazione progettuale. È anche importante il ruolo di CHIESA OGGI architettura e comunicazione nel dare voce alle produzioni architettoniche ecclesiali non eclatanti: quelle eccezionali e straordinarie oggi trovano spazio anche su riviste non specializzate. In questo svolge un ruolo di informazione e orientamento molto importante.

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