Il racconto progettuale

Il progetto di questo casale è sorto da una vera collaborazione: i committenti avevano già le idee chiare e da parte degli architetti c’era l’amichevole volontà di accontentarli. L’input era all’incirca questo: fare un casale rustico, con forme e materiali tipici della campagna romana, ma con spazi pensati a misura di due professionisti cittadini. Nessuno voleva la villa signorile ottocentesca. Quello cui ambivano era una casa che riprendesse gli aspetti più suggestivi e rilassanti del mondo contadino, senza sacrificare il comfort cui erano abituati. Ne è uscita una costruzione molto mossa a più corpi, ricca di spazi intermedi protetti (i tradizionali loggiati), e servita da imponenti camini. E’ la casa di
campagna oggi più presente nell’immaginario collettivo dei romani abbienti: non più la grande villa con mattoni a vista come si usava ai tempi dell’Olgiata, ma qualcosa dal sapore meno formale e più casereccio, che meglio si confonde e si mimetizza con l’architettura spontanea da sempre presente nella zona.

In ogni caso alcuni particolari tradiscono l’origine colta della casa, come gli archi ribassati che sono stati realizzati con una inarrivabile perfezione formale, segno che a farli è stata una delle migliore imprese sotto la guida di un architetto non locale. Anche i camini sembrano casuali, trovati in loco, ma a guardarli bene svelano un’origine e un’eleganza più colta rispetto all’architettura spontanea locale.

E’ un gioco, quello del rustico, che risale al ‘700 quando l’Arcadia, tanto vagheggiata in letteratura come in teatro, la si volle presente nel proprio parco costruendo, come a Versailles, mulini e caseifici per il divertimento “en travesti” dei reali di Francia e della loro corte. E in questo caso, come allora, i camini “rustici” giocavano un ruolo molto importante.

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