Il pregio della misura

Uno dei tre progetti vincitori del concorso “Tre chiese per Milano 2000”, questo progetto di Mauro Galantino ripropone un linguaggio “razionale” plasmato e articolato in funzione della luce e della liturgia; i segni e i significati, rituali e simbolici vengono esposti entro coordinate rigorosamente calibrate. Si inserisce come un punto fermo nel contesto della periferia milanese.

 

Il sagrato è sopraelevato rispetto al piano della strada, separato da un muretto, dal volume del campanile, da alcuni alberi, dal corpo della cappella. La facciata principale è costituita da una parete in cemento bianco traforato, staccata rispetto al muro del volume che contiene la Chiesa.

Quando venne proposto, nel 1989, il concorso “Tre chiese per Milano 2000”, appariva quasi come una novità. L’obiettivo era quello di garantire, attraverso la competizione aperta, la qualità del prodotto architettonico, in un’epoca come la nostra, in cui le espressioni formali sono le più varie e incontrollate. Il concorso premiò tre progettisti giovani e, come Mauro Galantino, tendenzialmente orientati verso un disegno “razionale”. A dodici anni dal concorso, anche la chiesa progettata da Galantino appare completata, nella realizzazione dell’edificio e nella concezione dello spazio di culto. Nel corso degli anni il disegno originale è stato affinato nel dialogo con la Committenza così che ora appare modulato sulle necessità liturgiche e della Comunità parrocchiale. «A favore del progetto – scrive Mauro Galantino – hanno giocato le difficoltà e la durata della progettazione. Alcune erano ben presenti dal principio: difficoltà in un quartiere dormitorio, periferia della periferia di Milano, difficoltà a realizzare una micro urbanità in un luogo senza disegno degli spazi pubblici, difficoltà a convertire le tracce presenti nel sito in qualità positive del progetto. Altre difficoltà si sono ‘dilatate’ affrontando il tema dell’edificio sacro e spingendo la ricerca sull’architettura della chiesa molto lontano dalla sua redazione iniziale.» Nelle quattro redazioni che ha conosciuto il progetto, la cazione del sagrato come spazio aperto ma protetto, luogo sopraelevato di passaggio e “compensazione” tra la “non-città” e la chiesa, è rimasta costante. Un’altra parte rimasta costante nelle varie stesure è la cappella feriale, anch’essa elemento di mediazione tra spazio urbano e chiesa. La cappella si legge esternamente come un elemento con pianta a croce. In realtà essa ha pianta a “L” e occupa solo due bracci della “croce”. Questi si raccordano con il porticato, anch’esso a “L”, che su due lati delimita il sagrato e copre l’ingresso alla chiesa. Gli altri due “bracci” dell’elemento che ospita la cappella costituiscono due spazi a cielo aperto, luoghi che intimizzano la cappella, isolandola dall’esterno, e consentono alla luce di filtrare solo dall’alto. Il campanile, una torre cava non elevata, si presenta come contraltare all’elemento che racchiude la cappella, dal lato opposto del sagrato. Nella cappella, come anche nel campanile, si realizza un gioco di volumi di geometrica simmetria che si aprono dando luogo a prospettive nuove, a viste privilegiate verso spazi interni e verso il cielo, allo stesso tempo separando l’ambiente di culto e i suoi annessi dal circostante abitato. È questo il motivo dominante anche nella composizione della chiesa vera e propria. Entrando nella chiesa dalla cappella, cioè dal lato sinistro del fronte, ci si immette nel corridoio che ospita le penitenzierie: la luce qui filtra dall’alto. Il soffitto è prima elevato, poi ribassato in coincidenza con i luoghi della penitenza, infine ancora elevato sopra il battistero, collocato sul lato opposto rispetto all’entrata. La parete di questo “corridoio” è tinteggiata in azzurro chiaro, quasi a voler porre in evidenza la presenza del cielo. Tale “corridoio” resta ben definito dallo sviluppo della copertura, ma non è separato dall’aula, della quale costituisce la parte opposta al lato accanto al quale si trova l’altare. Il presbiterio è costituito infatti da una pedana sopraelevata, collocata sul lato lungo del perimetro di base della “scatola” che contiene l’aula. Il soffitto dell’aula è una rivisitazione moderna della copertura a cassettoni. Sopra il presbiterio la copertura si apre zenitalmente per irrorare di luce il fulcro della celebrazione.

 

In alto: schizzo dello spaccato dell’aula. Sulla destra si nota la parte con copertura ribassata dove sono collocati i confessionali. A sinistra, in alto: vista interna dell’aula, verso la parete vetrata di fondo.

Alle spalle di questo, è posta una parete vetrata scandita da sostegni verticali di acciaio, oltre la quale si vede un patio alberato. L’assieme prospettico determinato dalle travature del soffitto dell’aula e dalle scansioni verticali della vetrata, costituiscono uno “scenario” che ricorda quello del Cenacolo leonardesco. Il progettista, Mauro Galantino, nel presentare la soluzione sviluppata per l’aula, spiega: «Lo spazio sacro è stato ovviamente il tema più complesso da sviluppare (…) Per noi il Concilio, ipotizzando il primato esclusivo del binomio assemblea-celebrante, ha in qualche modo relegato l’edificio chiesa in secondo piano, ponendo al centro della liturgia non una forma d’uso ma una sostanza teologica. La chiesa postconciliare si fonda su questa nuova realtà e la chiesa edificio che meglio la rappresenta è “l’assenza di edificio”. «Così il lavoro di progetto ha cercato di realizzare due materie fisiche: un edificio contestuale che regola i bisogni della città, realizzato in mattoni e leggibile dall’esterno e un edificio funzionale in cemento a vista, leggibile dall’interno, che garantisce lo svolgimento dell’uso. Tra i due edifici resta “catturato” un terzo edificio, un edificio d’aria, un sistema di esterni visibili dall’interno dell’assemblea. «La presenza della terra (realizzata con un piccolo orto concluso), dell’acqua (realizzata con una lunga fontana) e del sole (realizzata con una camera di luce disposta sul fronte sud) rende maggiormente comunicabile questa idea di edificio immateriale interposto tra due materie fisiche tradizionali.


Chiesa di S. Ireneo a Cesano Boscone (Milano)

Indirizzo: Via Turate, Cesano Boscone
Progettisti: Dr. Arch. Mauro Galantino (Milano) Anno di costruzione: 1999-2001
Mattoni: IBL Vetrate: Jansen Impianti illuminotecnici: Disano
Illuminazione SpA (Rozzano – Milano) + Lucitalia Impianti di riscaldamento: Air Mixing
Rivestimenti di copertura: Sarnail

«La chiesa che ci interessa è quindi questa inter-capedine nella quale filtrano gli elementi cosmici rappresentativi dell’universalità della vita così come si è sviluppata sul nostro pianeta. La fede è ciò che rende leggibile la chiesa, l’architettura cerca di parlare di questa sostanza indicibile». Gli elementi liturgici, per quanto già progettati, non sono stati ancora collocati. Il tabernacolo è progettato come un prisma verticale, murato al suolo, nel quale viene simbolicamente ricollocato il tabernacolo ligneo, unico elemento salvatosi dall’incendio che distrusse la vecchia S. Ireneo. Sede e ambone sono progettati come prefabbricati: due lastre in graniglia a “L” che determinano pedana e montante che regge, nell’un caso un leggio in faggio, nell’altro caso la seduta anch’essa in faggio. Come altare il progettista ha scelto di collocare una riproduzione del tavolo realizzato in cemento dal grande architetto razionalista milanese Piero Bottoni per la famiglia Muggia di Imola, nel 1936. «La forma altamente simbolica di un tavolo che ricorda un altare – afferma Galantino – si converte in S. Ireneo in un altare che ricorda un tavolo, abbinando alla sacralità del sacrificio, bene posta dalla forma di cono lapideo, la dolcezza del ricordo della mensa, simbolo dell’unione e della comunità, non solo di fede ma di affetti».

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