IL GENIUS LOCI: L’ATEMPORALITÀ DEL CRISTIANESIMO, LA CONTESTUALITÀ DELL’ARCHITETTURA

Radicamento, contestualità, carattere… La chiesa dei nostri giorni deve rispondere alle necessità di sempre: è l’edificio centrale dell’abitato nonché quello cui è demandata l’espressione del significato più intimo del sito. Il problema è che proprio il forte, tradizionale radicamento della chiesa in tutti i nostri centri abitati, come anche nella memoria e negli affetti di ogni cittadino, fa sì che dopo la rivoluzione del moderno le chiese “nuove” appaiano quasi immancabilmente più povere rispetto a quelle storiche.
Ma anche le chiese nuove sono il cuore del quartiere, del villaggio, di quei brani di città che si estendono nella campagna o che sorgono su aree un tempo industriali, così come delle periferie sfibrate del dopoguerra, o dei nuovi insediamenti residenziali immancabilmente “immersi nel verde”: e proprio in questi contesti la chiesa può portare un segno di identità altrimenti spesso assente o poco visibile: l’anima del “genius loci”. Ora, quando si parla di “genius loci” la mente corre subito alle presenze sedimentate nel tempo e nella memoria: gli acciottolati o i lastricati, i muri in pietra o in mattoni, le cupole o i porticati. Ma c’è anche un più specifico “genius loci” cristiano che si esprime attraverso l’immediata riconoscibilità della sacralità ecclesiastica: l’emozione generata dal mescolarsi di intima familiarità e riverente stupore che avvolge chiunque entri in una basilica medievale, con i suoi grandi spazi, col suo silenzio sospeso e vibrante, con l’ordine quasi misterioso delle partiture architettoniche dato dai colonnati o dalle costolature delle volte che, tutte e immancabilmente, riconducono al canto di luce che si diffonde dall’altare.
Al paragone, potrà mai una chiesa concepita secondo le modalità dell’architettura contemporanea eguagliare lo splendore di queste opere storiche? Di esse sappiamo che resteranno come testimonianza del sapiente accumularsi di contributi di generazioni e generazioni, che proprio alla chiesa hanno dato il meglio delle produzioni manuali, artistiche e spirituali.
Potrà accadere lo stesso anche con le chiese contemporanee? Al paragone, saprà un architetto di oggi comunicare con altrettale maestria, al passante come al fedele, la percezione immediata di trovarsi di fronte a un luogo di culto? Il tema è arduo. Come più volte ha rilevato Mario Botta, dopo la rivoluzione del “moderno”, delle nuove tecnologie, dopo Picasso, non si può continuare a progettare come nell’800.
Ma si potrà mai trovare una nuova misura? Si potrà mai ritrovare, nei linguaggi espressivi dell’oggi, quel sapiente incrocio di suggestioni tradizionali, di esplicitezza, di rigore formale che ha caratterizzato l’edificio di culto sino a tutto l’800, senza ricorrere a rifacimenti di stili passati? Si potrà mai trovare il modo di compaginare l’architettura contemporanea con la sovratemporalità della Chiesa? In S. Paolo Apostolo a Frosinone, Danilo Lisi ha tentato un approccio originale e degno della massima attenzione.
Ha riscoperto anzitutto il centro parrocchiale come luogo articolato, concepito non in modo banalmente riduttivo quale aggregato di funzionalità, bensì come un vero e proprio brano di città: come poteva essere un convento o un monastero medievale in cui l’edificio di spicco, che dà il “LA” all’insieme, è la chiesa dal volume eminente, lteriormente evidenziato dal campanile (disegnato quasi come un pennacchio, a sottolinearne lo slancio verticale). Ma tale chiesa acquista significato proprio in quanto elemento di un preciso contesto, cioè in quanto momento saliente la cui visione è preparata dalla presenza degli altri corpi di fabbrica vicini.
Il significato dell’edificio – di ciascun edificio – è dato anche dal dialogo che questo allaccia con l’intorno.
E qui l’intorno è definito anzitutto dal gioco di rimandi che si attiva tra il corpo avvolgente delle opere parrocchiali, il corpo trasparente e ben radicato dell’auditorio (la funzione “civile” e certo anche per questo “trasparente”, come una presenza leggera che non si impone) e il volume della chiesa.In questo assieme coordinato si ritrova una precisa gerarchia di masse e di geometrie.
Opere parrocchiali e auditorium definiscono tre lati che idealmente si completano in un quarto: idealmente perché in realtà l’insieme risulta aperto e accogliente, come dev’essere un centro parrocchiale: non chiuso e serrato su di sé, ma disponibile all’incontro e al dialogo con la città.
Ecco dunque che il “genius loci” cristiano si realizza anzitutto nella gerarchia di valori che risultano espliciti nelle relazioni tra le masse.
La croce, come espressione propria ed evidente della fede, si erge con naturalità sopra la chiesa, così come compare corposa e imponente sulla porta: soglia di separazione ma anche, grazie alla trasparenza, invito a entrare.
E si rivela il secondo aspetto del “genius loci”: il percorso. Le architetture infatti non sono statiche: esse definiscono orientamenti e passaggi.
Chi attraversa questi diversi momenti è come “guidato” non solo entro uno specifico luogo, ma anche verso un certo stato d’animo consono con quel luogo.
Questo aspetto, forse vero per qualsiasi edificio, è fondamentale per la chiesa.
E qui, il fatto che la porta della chiesa si apra verso il sagrato definito dalle opere parrocchiali e dall’auditorium, fa sì che chi arriva dalla città prima passi attraverso una piazza qualificata e poi entri nel luogo della celebrazione, con un transito ben graduato dal “profano” al “sacro”.
Il percorso presenta una serie di passaggi introduttivi: lo stesso accadeva coi quadriportici medievali, seppure allora il cristianesimo permeasse tutto il vivere sociale e pertanto fosse relativamente minore la distanza tra mondo civile e ambiente di culto.
Un percorso di ingresso graduale e qualificato è tanto più importante oggi, nel contesto dominato da stili di vita disincantati e lontani dalla religiosità: è un modo per far ripercorrere il cammino dell’iniziazione cristiana.
Anche una volta entrati in chiesa, la disposizione dei luoghi liturgici è pensata secondo una progressione ben calibrata entro un contesto in cui l’imponente volume a tamburo si rivela in un gioco di luci che traforano la parete continua, quasi a recuperare un linguaggio angelico, di soave spiritualità.
Sulla tematica dell’accesso si innesta il discorso del disegno architettonico, che parte dall’essenza di figure geometriche solide ma giunge a presentarle non come astrazione, bensì come calate nella necessità dell’abitare.La chiesa avrebbe potuto essere un semplice cilindro, figura che nella sua intrinseca onnicomprensività e dinamicità si contrappone allelinee ortogonali dei vicini corpi di fabbrica.
Ma qui è elaborata in scansioni eloquenti: c’è un fascione in pietra nella parte bassa, a significare radicamento e inamovibilità; ci sono le finestre quadrate ordinatamente disposte tutte attorno; c’è il grande portale che s’innalza in continuità col sagrato; ci sono gli scalini che precedono l’ingresso; c’è il rosone absidale… tanti elementi che rimandano alla storia e recuperano una grammatica antica, ma secondo modalità nuove.
Tra queste, un aspetto significativo è il gioco delle diverse prospettive che si offrono a chi si avvicina.
Nell’opera di Lisi non c’è monotonia: chi si muove verso il centro parrocchiale, e poi al suo interno, esperisce un cambiamento di punti di vista, un rinnovarsi di scorci e di angolature, così che l’architettura diventa racconto e acquista in eloquenza.
Si pensi per esempio all’importanza dei porticati colonnati e dei passaggi elevati tra i diversi edifici: sono tutte soluzioni che avrebbero potuto essere evitate, perché la tecnologia edilizia attuale non ha bisogno di soluzioni quali le colonne in evidenza.
Collocarle fa parte di una precisa scelta
espressiva, che deriva dalla ricerca della specificità cristiana del sito.
Certo il porticato non è esclusivo della chiesa; ma nella storia è presente in tante chiese.
Anche le colonne non sono esclusive della chiesa, ma nella storia caratterizzano tante chiese. Lo stesso vale per la cupola: qui non presente nella compiutezza di forma, ma accennata attraverso una serie di strumenti di cui forse il più cospicuo è l’apertura a lunetta absidale che ospita la vetrata di san Paolo accecato dal bagliore di luce.
Sono accenni: ma la loro funzione di ricongiungimento alla tradizione è evidente. Come è evidente la modernità dell’espressione compiuta dell’insieme.
Siamo di fronte, quindi, a un tentativo esplicito di ritrovare il “genius loci” in quanto rappresentativo dell’identità cristiana: quella spontanea, immediata riconoscibilità del sito come “chiesa” entro un contesto armonizzato e orientato, in cui il segnale primo dell’orientamento è dato da quel taglio obliquo che protende in alto la croce sul campanile: l’orientamento verso il cielo.
Il centro parrocchiale di S. Paolo Apostolo di Frosinone è stato pubblicato su CHIESA OGGI architettura e comunicazione n. 82/2008 e in un volume antologico sulle chiese progettate da Danilo Lisi.La ripubblichiamo qui con un ampio corredo di commenti perché, quando ormai da tempo svolge la sua missione nella città, si può dire che sia giunta a maturità: non è più anzitutto il prodotto dell’abilità creativa del progettista, ma è anche partecipata dalla comunità. I contributi critici offrono lo spunto non solo per leggere la novità del progetto, ma anche per comprendere il modo d’essere di una chiesa operante nel territorio. C’è insomma quel che porta l’architettura a compimento: il suo pieno utilizzo, il suo essere calata e radicata nella consuetudine del rito e nell’abitudine dei giorni. Insomma, una chiesa nuova ma già storicizzata: è la condizione necessaria per una più completa e matura riflessione, che va al di là dell’emozione del momento. Qualcosa di solito assente nella critica delle chiese contemporanee, che sono presentate nel momento del loro apparire, come svincolate dal vivere quotidiano.
In questo senso, in queste pagine offriamo una novità editoriale, un contributo “di metodo” al dibattito che accompagna le nuove architetture ecclesiastiche: con l’auspicio che tale dibattito sia sempre più ragionato, ricco, pensato e non prono a letture emotive, passionali ed estemporanee.

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