Il Cinquecento veneto e Giulio Romano « L’architetto rinascimentale è chiamato a progettare camini come parte dell’edificio e ne cura forma e funzione” scrive Luisa Attardi nel suo approfondito e dettagliato studio “Il camino veneto del Cinquecento. Struttura architettonica e decorazione scultorea” pubblicato da Angelo Colla Editore. Ogni epoca produce la sua architettura, così l’autrice, attraverso l’immancabile presenza del camino (unico sistema di riscaldamento dell’epoca) rilegge le forme e le teorie dell’architettura del Cinquecento in Veneto. Perché il focolare? La risposta di Attardi è netta: “modellati come sculture, i camini assumono un ruolo sempre più rilevante per qualificare esteticamente gli ambienti e, in modo indiretto per contribuire al riconoscimento sociale del proprietario.
In Toscana e in genere nel centro Italia si mantiene per tutto il Cinquecento la tradizione del camino senza cappa con un uso moderato del vocabolario decorativo non architettonico sopra la trabeazione, spesso derivato dall’idea di mettere in mostra ordinatamente degli oggetti, statue, vasi o bassorilievi. Nel Veneto la scultura investe, invade, si sostituisce all’impianto strutturale, e arricchisce le cimase di figurazioni allegoriche inserite entro cartigli accartocciati, con festoni maschere puttini, con esiti di grande sfarzo e sontuosità. Nella progettazione dei camini gli artisti si concedono una grande libertà di sperimentare nuove invenzioni, resa possibile dall’assenza di qualsiasi vincolo normativo che fosse stabilito dalla trattatistica o dall’esistenza di esemplari antichi di camini, quei vincoli che costituiscono invece la premessa da cui ha preso avvio ogni esperienza teorica o pratica dell’architettura rinascimentale sin da Brunelleschi.” Le variazioni sulla cornice sul tema della trabeazione, della colonna, del capitello, degli ordini architettonici, del bugnato, della struttura e dei motivi ornamentali, splendidi progetti e realizzazioni, sono illustrate con tavole in bianco e nero e a colori. Un linguaggio architettonico che si manifesta totalmente nella struttura del camino che contiene i caratteri tipologici dell’architettura rinascimentale e manieristica. Qui entra in gioco, una delle principali figure artistiche dell’epoca che inaugura una nuova stagione dell’architettura veneta: Giulio Romano, brillante collaboratore di Raffaello, che dopo la morte del maestro, abbandonò Roma per stabilirsi definitivamente a Mantova. La sua grande personalità artistica caratterizzata da una ‘vena teatrale’ e ornamentale, per l’amore per i chiaroscuri, la materia e i forti contrasti, lo portano ad una personale interpretazione e combinazione del classicismo di Raffaello e di alcuni elementi del linguaggio di Michelangelo. Chiamato a Mantova nel 1524 da Federico II Gonzaga, per trasformare il vecchio borgo medioevale in una città ducale. Qui l’architetto progettò alcuni principali monumenti e scrive Vasari “diede… tanti disegni di cappelle, chiese, case, giardini, facciate e, talmente si dilettò ad abbellirla e ornarla” che la trasformò in una “nuova Roma”. La fantasia e la grande libertà architettonica, dovuta alla conoscenza delle tecniche e dei materiali, sono evidenti nelle cornici per focolari progettati dall’architetto per il Palazzo del Te o nei “molti disegni progettuali per camini contenuti nel Codice Strahov conservato a Praga.
Le tavole presentano un vasto repertorio di forme e dettagli decorativi legati alla forma del focolare con soluzioni davvero innovative come il camino con conchiglia. La struttura del camino è indagata negli effetti plastici delle membrature architettoniche con una parallela ricerca sia delle strutture portanti sia negli apparati ornamentali, spesso frutto di rielaborazioni di morfologie di antica origine”. Gli scenografici camini, ricchi di effetti chiaroscurali ottenuti con la massiccia plasticità delle forme, sono piccole sintesi, dei principali elementi del linguaggio architettonico di Giulio Romano. Ad esempio, scrive Luisa Attardi “il camino della Sala dei Cavalli [a Palazzo del Te] dichiara l’impegno del bugnato come mezzo formale per modellare la struttura architettonica, ma il bugnato, se visto nell’ottica della sua origine antica, diviene pretesto per una citazione colta, artificiosa, intelletualistica, del linguaggio classico. Altrove Giulio Romano ricorre all’ordine rustico per il suo valore espressivo: il fascino della Sala dei Giganti è, nelle parole del Vasari, esaltato dal <camino di pietre rustiche a caso scantonate, e quasi in modo sconnesse e torte, che parea proprio pendessero in sur un lato, e rovinassero veramente>, oggi perduto, che era posto <fra queste muraglie che rovinano> e mostrava <quando si fa fuoco, che i Giganti ardono per esservi dipinto Plutone che col suo carro tirato da cavalli secchi, et accompagnato dalle furie infernali, si fugge nel centro: e così nonsi partendo Giulio con questa invenzione del fuoco dal proposito della storia, fa ornamento bellissimo al camino>”. La sala ha conservato la grande spettacolarità voluta dal “capricciosissimo e ingegnoso” Giulio che la disegnò, narra Vasari, in modo da “fare una stanza la cui muraglia avesse corrispondenza con la pittura per ingannare quanto più potesse gli uomini che dovevano vederla… Perché Giove, fulminando, e tutto il cielo adirato contra di loro pare che non solo spaventi il temerario ardire de’Giganti rovinando loro i monti addosso, ma che sia tutto il mondo sottosopra e quasi al suo ultimo fine… e chi entra in quella stanza… non può non temere che ogni cosa gli rovini addosso… e quello che è in questa opera maraviglioso, è il veder tutta quella pittura non aver principio né fine…” in un unico vortice che si sprigiona dal centro del mosaico del pavimento e invade tutte le pareti.
L’impiego del bugnato come alto basamento dell’ordine dorico superiore, come “bipolarità tra ‘opera di natura’ e ‘ratio umana’ era stato impostato in modo inequivocabile dal Bramante di Palazzo Caprini, punto di partenza delle analoghe riflessioni di Raffaello a cominciare dal palazzo di Jacopo da Brescia (…). Nei primi decenni del Cinquecento, si elaborano nuovi modelli legati alle ricerche dell’ordine come i camini con volute ioniche di villa Madama a Roma, di recente assegnati a Giulio Romano nel 1520-21 circa o sull’ordine rustico che ispira ad esempio il camino di Giulio Romano nella Sala dei Cavalli a Palazzo del Te, enfatiche volute sono poste a sostegno di un fregio possente a bugne rustiche, in una curiosa commistione di ordini, il camino della Camera delle Imprese qualificato come ionico dal fregio pulvinato e dalle volute della cappa, è sorretto da una mensola rarefatta di cui rimane solo il ricciolo inferiore.
nella licenza all’interno della norma degli ordini, una dissacrazione che paradossalmente si armonizza al tono generale della costruzione, come dimostra il camino Sala dei Cavalli” descritto, in un carteggio, dallo stesso autore che “serrà il più bello sia ancora fatto”. Al contrario, tanti artisti e architetti dell’epoca attinsero dal vasto repertorio figurativo e ornamentale realizzato da Giulio Romano nel Palazzo del Te e molte idee ornamentali, come erme telamoni in stucco, le cariatidi, si diffusero rapidamente in tutte le corti d’Italia e furono impiegate come elementi scultorei ricorrenti proprio nelle cornici dei camini. » |