I beni culturali della Diocesi di BergamoCome rispondere alle necessità dell’arte

Don Diego Tiraboschi, bergamasco di 50 anni, sacerdote dal 1974; dal 1992 addetto all’ufficio Affari Economici – sezione Tecnica, dall’anno 1995 architetto; dal 1998 direttore dell’Ufficio Diocesano di Arte Sacra e dei Beni Culturali e coordinatore della Commissione Diocesana di Arte Sacra e dei Beni Culturali.

 

Quali sono i principali problemi che affronta la Commissione Diocesana per i Beni Culturali e per l’Arte Sacra? In che modo si possono orientare le operazioni di catalogazione, i progetti di restauro, gli adeguamenti liturgici? Quale il livello di qualificazione richiesto ai tecnici che operano nel campo dell’arte e dell’architettura per il culto? Quali le metodologie seguite nell’affrontare il problema della conservazione delle opere d’arte? Don Diego Tiraboschi, architetto e responsabile per i Beni Culturali della Diocesi di Bergamo, nell’intervista che qui riportiamo fa il punto sulla situazione nel territorio di sua competenza.

Quale funzione svolge oggi la Commissione di Arte Sacra e quali sono i principali problemi che vive?
La funzione della Commissione diocesana di Arte Sacra è di fornire consulenza al Vescovo nel campo della formazione e della trasformazione degli oggetti immobili e mobili culturali e di arte sacra nel territorio della diocesi. E’ formata da laici e religiosi esperti in materie che comprendono la storia dell’arte, la liturgia, l’architettura. I suoi membri sono nominati dal Vescovo. Due problemi investono l’attività delle Commissioni d’arte sacra oggi: la difficoltà di gestione della competenza e la qualificazione dei membri della Commissione stessa. Per cominciare, le competenze dei pareri in merito ai beni culturali e all’arte sacra seguono una scala gerarchica che prevede una serie di passaggi a cui corrispondono figure ben precise che hanno maggiore specificità e specializzazione spesso in misura inversamente proporzionale al ruolo gerarchico, e quindi alla possibilità di determinare la risposta. L’Ordinario, primo responsabile, ha sotto di sé altri ruoli gerarchici dai quali dipendono i Direttori degli Uffici diocesani che, nella fattispecie dell’Ufficio Beni Culturali e Arte Sacra, ha quale organo consultivo la Commissione di Arte Sacra. Può accadere che nella gestione delle risposte, lungo l’iter burocratico, si creino pareri discordanti che rendono invalidante il primo parere espresso dalla commissione. Da qui la difficile incisività della commissione d’arte sacra, soprattutto in relazione alle pratiche che necessitano di analisi nel tempo e che devono essere seguite nel loro evolversi.
Un altro problema investe invece la Commissione al suo interno: la qualificazione dei membri per la valutazione delle problematiche nei vari campi specifici dell’arte e dell’architettura. In questo senso non si vuole disquisire circa la preparazione dei membri, ma in merito alla completezza dei pareri che vengono espressi. La valutazione della Commissione non deve basarsi esclusivamente su fattori estetici o scuole di pensiero o esperienze soggettive, ma dovrebbe improntarsi, nel caso per esempio dell’architettura, sulla valutazione della corretta impostazione urbanistica, architettonica, funzionale, liturgica rispondendo alla domanda: “Questo edificio potrà assolvere al compito arduo per il quale viene edificato?”“Sorge da una approfondita conoscenza e da una seria considerazione degli aspetti dogmatici, ecclesiologici, liturgici, urbanistici, architettonici, tecnologi- ci, funzionali…?” “Concretamente, rispetta le indicazioni dei documento della Conferenza Episcopale Italiana sulle nuove chiese e sull’adeguamento delle chiese?”

L’Ufficio Diocesano dei Beni Culturali e dell’Arte Sacra in questo periodo sta svolgendo due compiti di grande interesse storico e culturale per la diocesi: la realizzazione della catalogazione dei beni culturali mobili ecclesiastici e l’inizio della catalogazione dei beni culturali immobili. Come si delineano questi eventi?
La catalogazione informatica dei beni culturali mobili è una iniziativa decisa dal Vescovo di Bergamo a seguito della proposta della Conferenza Episcopale Italiana. La catalogazione comporta un rilevante impegno economico che coinvolge soprattutto la Diocesi, intesa sia come Ente che come insieme delle parrocchie, con l’aiuto della stessa C.E.I.; anche la Regione Lombardia da un contributo economico che percentualmente copre solo una minima parte dei costi. L’impegno di inventariare tutti i beni mobili di rilevanza artistica presenti nel territorio diocesano, appartenenti alle parrocchie, è un progetto che coinvolge a tutt’oggi una équipe di catalogatori che operano a tempo pieno. L’ardito compito, iniziato nel febbraio 1997 e previsto a termine circa nel 2002, prevede la catalogazione informatica di circa 300.000 opere appartenenti a 389 parrocchie, custodite in 1505 chiese. Il gruppo di lavoro fa riferimento gerarchico al Delegato Vescovile per il Settore delle Attività Economiche e i Beni Culturali Mons. Arrigo Arrigoni, e opera all’interno dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici. Divisi in tre gruppi di quattro catalogatori ciascuno, le équipes comprendono anche fotografi, una segreteria d’ufficio, elaboratori di immagini digitali, programmatori ed esperti del settore informatico, per un numero complessivo di circa 25 persone. Il lavoro della diocesi di Bergamo si configura a tutt’oggi come significativo per la notevole quantità di pezzi catalogati in un periodo di tempo relativamente breve. La catalogazione dei beni ecclesiastici, che la diocesi di Bergamo inizia oggi a gestire con mezzi informatici, è la naturale prosecuzione di un esemplare e prezioso percorso che ha origini circa 40 anni or sono con l’opera di catalogazione documentaria dell’ing. mons. Giuseppe Beretta. Grazie al suo impegno e alla sua precisione veramente straordinari la diocesi dispone di una inventariazione completa dei beni culturali immobili e mobili presenti nel territorio diocesano. La miniera di notizie costituita dall’inventario Beretta costituisce quasi sempre la base del lavoro attuale dei catalogatori. Anche dei beni immobili, dei quali pure la diocesi sta avviando la catalogazione con mezzi informatici, nell’archivio Beretta esiste una schedatura completa di dati storici, catastali, grafici, geometrici rilevati con precisione sorprendente e restituiti in scala 1:200, con una descrizione ragionata sulla consistenza e sull’eventuale degrado, dati questi di immensa utilità non solo storica. La catalogazione dei beni immobili su supporto informatico è molto meno diffusa di quella sui beni mobili, e la specificità del progetto iniziato a Bergamo è l’obiettivo di raccogliere dati che possano essere utilizzati dalle parrocchie sia per gli aspetti di gestione amministrativa che per gli aspetti di gestione edilizia, cioè per la famosa manutenzione; si è iniziato con la formazione di un gruppo eterogeneo di professionisti ed esperti di vari settori culturali e tecnici legati alla conoscenza e alla conservazione dei beni culturali immobili, e queste persone hanno usufruito di un corso di qualificazione di 84 ore, e di una sperimentazione in cui esiti vengono raccolti e vagliati entro la fine dell’anno 2000. L’informatizzazione dei dati raccolti per la compilazione di ogni scheda presuppone una analisi scientifica dei vari problemi che si riscontrano, a cui fanno riferimento le specifiche competenze di ogni operatore addetto. I dati raccolti vengono trasferiti su supporto informatico per un immediato accesso alle informazioni e costituiscono un documento “radiografico” aggiornato e ragionato della situazione in cui vive il manufatto, analizzato sotto il profilo storico, l’analisi visiva delle superfici, delle strutture, degli impianti, per fornire una descrizione tecnica dalla quale possa sfociare un programma di gestione del bene nel tempo. L’inventario degli edifici comprenderà la schedatura di circa 3.500 edifici, tra chiese ed immobili parrocchiali e verrà eseguito da gruppi di lavoro a lunga scadenza, con costi affrontati in parte dall’Ente Diocesi e in parte dalle parrocchie proprietarie dei beni.

La diocesi di Bergamo si è fatta promotrice di attività di aggiornamento tecnico e culturale rivolte agli architetti e agli ingegneri che operano nel territorio sui problemi dell’architettura sacra oggi ? Nel campo della conservazione dei beni culturali immobili la diocesi si è mossa negli ultimi anni con l’organizzazione di corsi aventi come obiettivo l’aggiornamento dei tecnici, architetti ed ingegneri, nelle varie problematiche che vengono affrontate nel restauro sia sotto il profilo architettonico, sia sotto l’aspetto tecnico e impiantistico, con particolare riferimento agli edifici parrocchiali e a quelli di culto. Tra gennaio e giugno del 1994 si tenne un primo corso di specializzazione intitolato “La conservazione dei beni culturali immobili ecclesiastici”, cui seguì un secondo corso, strutturato in analogia al primo e che si tenne tra dicembre dello stesso anno e giugno del 1995.Tra le premesse vi era la necessità di vedere il restauro di una chiesa non solo come un fatto occasionale suggerito dalle urgenze, e neppure soltanto come un semplice sforzo economico ma, come riportato nelle note di presentazione delle iniziative, come un processo culturale che induce a rivisitare il passato e porsi domande stimolanti circa l’essere costitutivo di una chiesa dell’oggi circa il rapporto tra l’interesse religioso e quello tecnologico e circa il concetto stesso di bene culturale. Dall’esperienza dei due corsi maturò l’esigenza di approfondire un tema specifico della conservazione e quindi fu approntato un nuovo corso di specializzazione, sempre per architetti ed ingegneri, sugli “Impianti tecnologici” negli edifici ecclesiastici , che si tenne tra gennaio e maggio del 1996. Infine, in preparazione alla catalogazione dei beni culturali immobili ecclesiastici, la Diocesi in collaborazione stretta con la Regione Lombardia ha promosso e organizzato un corso, a numero chiuso, di formazione per Catalogatori dei beni culturali immobili, tenuto tra lo scorso settembre 1999 e giugno di quest’anno 2000.

Per un architetto che deve affrontare la costruzione di una nuova chiesa o un adeguamento liturgico esistono due problematiche che devono essere affrontate: la risoluzione dei problemi funzionali e la risoluzione dell’aspetto liturgico. Mentre il primo aspetto è risolvibile con un accurato esame dei problemi logistici e, al limite, ergonomici, il secondo è troppo spesso di ardua attuazione. All’architetto manca sostanzialmente una base di studio ed una esperienza che lo aiutino ad affrontare il compito di dare un significato a ciò che deve realizzare in campo ecclesiastico. Se le università e i politecnici non sono in grado di dare questo contributo, è possi-bile e auspicabile l’istituzione di un corso di liturgia per architetti che colmi questo vuoto ricorrente?
Il problema indicato esiste, è reale, spesso grave, a volte drammatico; lo si vede davanti ad un progetto e qualche volta, purtroppo, davanti ad un’opera realizzata, rilevando che la chiesa progettata non risponde appieno né alle esigenze urbanistiche e architettoniche, né a quelle liturgiche. La necessità di esprimere idee forti e innovative coinvolge sia architetti sia artisti, è pertanto proponibile e auspicabile attuare esperienze in tal senso rivolgendosi a entrambe le categorie, le quali oltretutto, secondo le recenti intelligenti disposizioni della CEI, dovranno dialogare nella progettazione di una chiesa o dell’adeguamento di uno spazio liturgico. Oltre che istituire dei corsi di aggiornamento o di approfondimento, o forse meglio all’interno dei corsi stessi, si potrebbero attuare delle esperienze dirette di lettura di opere di architettura e di arte pittorica o di scultura esistenti.Tra le difficoltà di attuazione di questo programma è anche la rarità di docenti preparati con questa specificità. Leggere i monumenti anche nei loro significati religiosi è una competenza rara. Nei sacerdoti esiste spesso una scarsa preparazione in questo senso. Lo studente del seminario ad esempio affronta raramente questo argomento nel corso di studi, se non in casi sporadici e spesso non programmati. Spesso non esiste nel prete, per esempio, la capacità di lettura dello spazio architettonico di culto, così come di un opera d’arte pittorica o scultorea con contenuto religioso.
Quest’anno, tra gennaio e maggio, è stato attuato un esperimento in tal senso organizzando un corso rivolto ai catalogatori che lavorano per la diocesi, al gruppo guide della città e dell’Accademia Carrara e ai diplomati dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, intitolato “Per una lettura iconografica e teologica dei beni culturali ecclesiastici”. Questa mancanza da parte degli architetti, ma, come abbiamo visto, anche da parte degli stessi addetti, rende palese la perdita dell’abitudine a considerare l’iconografia come parte integrante della chiesa. La mancanza o l’estrema riduzione dell’iconografia nello spazio sacro, attuata in seno ad un concetto di estremizzazione della semplicità e della essenzialità nelle sue varie espressioni, ci ha portato a disabituarci a riconoscere i significati dei simboli sacri. Questa difficoltà è reale e purtroppo percepibile anche nei sacerdoti, non sempre abitu
ati ad usare l’iconografia nella catechesi e nell’omelia.Rimane quindi urgente la necessità di reimparare a leggere l’arte e l’architettura sacra.

Per la costruzione di una chiesa come ritiene debba essere il rapporto tra l’architetto e il parroco ?
Innanzitutto la decisione di costruire una nuova chiesa o nuovi edifici parrocchiali viene ponderata non solo dal parroco, ma anche dagli organismi parrocchiali, sentito il parere del vescovo il quale, a sua volta, emetterà una Licenza scritta dopo aver sentito il parere anche del Consiglio presbiterale e i rettori delle chiese vicine. Per una corretta progettazione l’architetto deve far riferimento alle disposizioni contenute nelle Note pastorali della Conferenza Episcopale Italiana: “La progettazione di nuove chiese” emanata il 18-2-1993, e “L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica” del 31 maggio 1996. Queste indicazioni sono richiamate anche nel “Vademecum per l’amministrazione delle parrocchie” emanato dall’Ordinario di Bergamo il 15.09.1998. Queste disposizioni vanno richiamate per chiarire le regole fondamentali di comportamento che si devono tenere sia nel caso della progettazione di nuovi edifici parrocchiali e di culto, sia per le loro ristrutturazioni o le manutenzioni. Voglio evidenziare un aspetto di essenziale importanza nel rapporto tra parroco e progettista: la necessità di stipulare un disciplinare d’incarico prima di ogni decisione progettuale; allegato a questo documento deve essere un elenco nel quale devono essere riportate per scritto e con assoluta chiarezza e precisione, da parte del parroco, le specifiche esigenze della parrocchia nei confronti dell’opera futura. Troppo spesso queste condizioni non vengono prese in considerazione e accade che tra le parti si instaurino rapporti approssimativi che possono sfociare in continue variazioni spesso motivo di lungaggini, polemiche, lievitazione dei costi.

 

 

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)