Grandezza di un’arte “minore”

Il Museo del Tessuto Liturgico, che è parte del Museo Diocesano di Brescia, dispone di una notevolissima collezione, sorta man mano che veniva realizzato l’inventario diocesano. Molti degli antichi paramenti riscoperti nelle sacrestie venivano depositati nella sede centrale del Museo che oggi custodisce circa 250 pezzi che spaziano dalla fine del XV secolo sino alla fine del XIX.

Pianeta veneziana confezionata nel decennio 1690-1700. Damasco classico broccato. Il colore azzurro era usato probabilmente nelle feste della Vergine Maria e dell’Ascensione.

Non ve ne sono altre di eguale estensione e di pari qualità – dice Don Ivo Panteghini, Direttore del Museo Diocesano di Brescia, parlando della collezione di paramenti liturgici esposta nella apposita sezione del museo.
Don Panteghini, come mai proprio a Brescia si è venuta a costituire una così vasta collezione di paramenti?
È una conseguenza dell’opera di inventariazione dei Beni Culturali Ecclesiastici che ho condotto per una decina d’anni, prestando particolare attenzione alle arti applicate. I paramenti liturgici antichi non sono più proponibili nella liturgia postconciliare. Dopo averli raccolti si è posto il problema di come conservarli e come mantenerne vivo il significato. La collocazione nel Museo Diocesano ha proprio lo scopo di salvaguardare i manufatti e di recuperarne il significato, con una collocazinoe appropriata, con l’apparato didascalico che ne illustra le caratteristiche e ne evidenzia forme e simbologie.
Perché non sono presenti esempi che risalgano a epoche precedenti il XIV secolo?
Non abbiamo trovato paramenti così antichi nel territorio della Diocesi. Ed è rarissimo che se ne trovino in tutto il territorio naziohale. Bisogna mettere in conto da un lato l’oggettiva deperibilità dei tessuti. E dall’altro il fatto che in certe circostanze i tessuti venivano riutilizzati per confezionare vesti di nuovo stile. Quando il Card. Borromeo diffuse qui da noi la sua riforma della Chiesa, anche la liturgia mutò e i paramenti non consoni vennero smontati: in parte i tessuti furono riutilizzati, in parte andarono distrutti. Non c’era allora la sensibilità per la conservazinoe maturata ai nostri giorni. Ancora nel ‘700 il Card. Querini propugnò, coerentemente coi dettami dell’epoca, di “accoppiare la pompa con la divozione”: e i tessuti di epoca precedente, che apparivano eccessivamente sobri rispetto allo sfarzo che prevaleva, divennero materia prima per riutilizzi in fogge contemporanee. Per questo troviamo tessuti quattrocenteschi riadattati in paramenti di epoche successive. Ma non paramenti antichi originari.
Esiste una tradizione bresciana di ricamo e quando ha conosciuto il suo momento di massimo splendore?
Nel ‘700 a Brescia si trovavano diversi laboratori “planetari”: confezionavano pianete. Era un mestiere praticato anche dai laici, oltre che nei monasteri. Nell’800 i laboratori laici scomparvero: era venuto meno il mercato, se ne mantenne ancora qualcuno a Milano. Allora nei paesi cominciarono a sorgere gruppi di donne che si occupavano del complesso dell’arredo della chiesa e quindi anche della preparazione della paramenteria. Tra queste vanno ricordate le “angeline”, gruppi di giovani laiche consacrate oppure gruppi di educande che sotto la guida di suore esperte si davano alla confezione e al rinnovo della paramenteria nelle parrocchie.

Alcune viste delle sale espositive del Museo del Tessuto Liturgico. Gli espositori sono stati progettati appositamente per contenere i paramenti sacri e sono tutti modulari. Le vesti vengono esposte per periodi limitati di tempo, così da evitare l’allentarsi della trama a causa del peso del tessuto. Il Museo bresciano è stato presentato su CHIESA OGGI architettura e comunicazione n°31.

Il Museo dispone di un proprio atelier per il restauro?
No, il restauro dei tessuti impone regole ferree, richiede un’attenzione e una capacità manuale notevolissime. Solo a Firenze vi sono atelier capaci di questo genere di operazione. Noi ci impegnamo nel conservare i tessuti antichi preservandoli dagli effetti dannosi delle polveri e dalla luce. Li conserviamo su superfici piane orizzontali, in grandi cassettere, involti in carta inerte, cioè carta di riso che non contiene agenti chimici che attaccherebbero i fili metallici. A rotazione li esponiamo per periodi limitati (non più di 2 anni), perché quando sono appesi le trame tendono ad allentarsi e la luce negli espositori, per quanto sia quella fredda delle fibre ottiche, col tempo può intaccare i colori.
Che genere di espositori usate?
Abbiamo progettato e appositamente realizzato teche ermetiche con materiali naturali, privi di sostanze artificiali che potrebbero danneggiare i tessuti. Sono teche modulari che possono essere assemblate in modi diversi. Desidero aggiungere che mi è capitato di vedere vesti liturgiche antiche esposte su manichini: noi non riteniamo adatto alla veste sacra quel genere di esposizione. Preferiamo esporre i paramenti nella loro singolarità, così che siano apprezzati come lo potrebbe essere un quadro.
Che interesse suscita nel pubblico la vostra collezione?
Il Museo Diocesano costituisce un’unità, pur nella sua articolazione in diverse sezioni.Quella dei tessuti liturgici è una delle sezioni, che viene visitata insieme con le altre, come la pinacoteca o quella dei codici miniati. Il numero totale dei visitatori nel corso di un anno si aggira sui 10.000. Noto che la parte che espone tessuti suscita meraviglia e interesse perché costituisce una novità: i visitatori si accorgono dell’esistenza di un patrimonio vastissimo. Credo che nel suo complesso il patrimonio di tessuti italiano sia il maggiore esistente al mondo.
I paramenti antichi possono ispirare quelli attuali?
Il Museo pone sempre il problema dell’attualità. La mia idea nel preparare le esposizioni, era proprio quella di far conoscere il passato per suggerire qualcosa per il presente, secondo la linea della “nobile semplicità” richiesta dal Messale Romano e da Paolo VI. Bisogna evitare sperimentazioni eccessive.

 

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