Gianfranco Neri


Lo spirito, quello non è un problema. Era lì, c’è sempre, lo sappiamo. Ma – i corpi? I corpi sono il mistero. Franco Cordelli
Quello che si è da poco concluso, è stato il secolo delle immagini. L’ingresso delle masse sulla scena della storia ha trovato in esso il luogo di elaborazione più straordinario mai realizzato prima, per ampiezza e complessità degli strumenti e delle tecnologie impiegate. La rapidità dell’immagine e la sua compiutezza(il sintetico per antonomasia),
il suo essere senza storia (senza tempo), la sua capacità di cogliere direttamente la sfera affettivadei destinatari, la facile accessibilità ai suoi codici, la sua ‘eleganza mistica’, infine, hanno fatto dell’immagine quello strumento formidabile attraverso cui milioni di individui hanno condiviso una comune, planetaria esperienza visiva. In particolare nell’ultimo secolo, l’arte ha radicalmente modificato l’immagine e ne è stata altrettanto profondamente trasformata. Alimentandosi
l’una dell’altra, arte e immagine hanno costituito una trama sempre più inestricabile, una mutua dipendenza, una reciproca legittimazione tale da non potersi immaginare l’esistenza dell’una senza l’altra. L’immagine, entità fondamentale di mediazionetra visione e pensiero, tra realtà e rappresentazione, realizza proprio nella congiunzione
tra queste polarità, una divaricazione, uno spazio insicuro – collocato al limite tra il visibile e lo spirituale – che apre all’universo immaginativo. In tal senso, anche la Forma Modernaha condiviso appieno questa dinamica, essendo essa ancora elemento di transito verso lo spirituale. Una complessa elaborazione in cui il purismo, la funzionalizzazione e l’astrazione geometrica imprimeva un’inedita ulteriore accelerazione verso ciò che poteva spingerla a ricercare ciò che si nascondeva al di là di essa. È noto il contributo fondamentale dato dall’architettura dell’ultimo secolo a questa complessa articolazione che dal Futurismo ha segnato ogni sua tappa importante. La Modernità ha costruito sin dal proprio esordio una particolare mitologia delle immagini. Esse hanno trovato nel Cinema, prima, la loro più geniale sintesi creativa e poi nella Pop Art una declinazione mercantile-cultural-spettacolare che, appunto insieme all’architettura, ha anticipato alcuni temi concettuali e applicativi dell’ultima rivoluzione tecnologica. La definitiva affermazione delle masse e del macchinismo richiedeva un linguaggio senza aggettivi, semplice fino al grado zero, e l’arte era pronta a guidare questo nuovo corso: sostenuta da una forte tensione etica, l’opera moderna era tesa a promuovere il riscatto dell’umanità e realizzare un sogno di eguaglianza tra individui. Tuttavia una profonda mutazione ha dissolto negli ultimi due decenni quel sogno, vaporizzandone i contorni insieme al progetto di società che tentava di veicolare. Si è avviata da allora una fase di generale mutamento, peraltro non ancora conclusa, che veniva salutata nel
’94, nel celebre Rapporto Delors, come uno stadio dello sviluppo umano ‘i cui effetti saranno paragonabili, a termine, a quelli della prima rivoluzione industriale’. Com’è noto, tale rivolgimento è il risultato più sorprendente, il prodotto più consistente della rivoluzione dei nuovi media elettronici. Intervenendo a trasformare radicalmente le nostre mappe spaziotemporali, questo mutamento ha anche attribuito all’immagine un potenziale illimitato di azione sulla realtà.
Si è così compreso che i media elettronici hanno fatto del mondo delle immagini l’immagine del mondo, e che noi stessi, la nostra immagine, finalmente può tentare con opportuni accorgimenti di farne parte. In essa tutto è immediatamente presente e, quindi, accettato per concreto: nell’azzeramento dell’intervallo tra visione e immaginazione sta la condizione della totale figurativitàdel mondo che consente ora alla vita di coincidere con l’arte.
Ma il legame (l’ intimità) tra arte e immagini non è sempre stato così stretto, né sempre così necessario. Si potrebbe anzi affermare che nella storia umana i tempi in cui questo intreccio si è verificato siano stati tutto sommato brevi, essendo per la maggior parte gli sguardi orientati altroverispetto all’immagine.1 Ed è proprio l’ultima rivoluzione tecnologica – la creazione digitale dell’immagine, ovvero la sua riduzione a pura matrice numerica – che ha reso questa impalpabile entità definitivamente indipendentee autonoma dal suo correlativo reale e corporeo, accelerando la fine di quella mediazione di cui si diceva poc’anzi. L’immagine completamente artificiale – riproducibile all’infinito – geograficamente
delocalizzata, si trasforma in puro immateriale e non già in strumentoper accedervi. Lo spirito si emancipa definitivamente dalla materia, dal peso e dal corpo. In qualche modo, non essendo necessario per esistere, passare per la materia, contenendo essa già tutto, l’immagine si fa essa stessa materia nel cui codice genetico è già tutto pre-visto.

Molta dell’architettura contemporanea si trova quasi del tutto integrata in questo processo di creazione disincarnatadi forme e materie. Totalmente immersa all’interno della sfera della comunicazione elettronica, della manipolazione e riproduzione all’infinito, abolito lo spazio tra se stesse e il tangibile, le immagini architettoniche diventano il reale costruito del mondo nel quale non è più questo ad attenderle, ma sono esse stesse ad anticiparlo per sistemarvisi con matematica esattezza.
Pre-visione assoluta, quindi, non profezia; veggenti in apparenza, le nuove immagini architettoniche2 declinano un senso dell’Avanguardia improprio, un’avanguardia senza anticipazione. Essa trova la sua condizione non in quanto luogo di apparizione improvvisa e inattesa di un’opera – portatrice di novità assoluta in cui il linguaggio del mondo
è costretto a reinventarsi – ma, al contrario, condizione che conferma ciò che è atteso e funzionale alla sua riproduzione. Nell’arte ‘l’opera era l’imprevisto che spuntava alla vista, che emergeva alla vita. L’opera, come l’individuo, è una trovata, un accidente, una bella sorpresa. È necessaria interiormente, una volta che c’è; ma questa necessità, considerata dall’esterno, è un caso: ciò avrebbe potuto non essere. La noia, con queste tecnologie meravigliose e ultramoderne, è la loro affidabilità: esse prevedono tutto. È, in altre parole, la definizione di accademismo’, 3 altro che choc. Della acuta trasposizione del termine Avanguardia fatta da Leverdant, torna ora l’originaria accezione militare, e un’aggressività verbale dei suoi miliziani che dissimula malamente chi invece si è palesemente adeguato alle consuetudini visive e concettuali più correnti e corrive. Una veemenza frequentemente accompagnata anche da un molto avanguardistico darwinismo disciplinare: sono-migliore-di-teperché- vengo-dopo-di-te. Come un’automobile, un frullatore o un quotidiano supera il precedente declassandolo, così l’opera che si autodefinisce Nuovasupera quella che l’ha preceduta relegandola a scarto, esprimendo, in quell’essere migliore, una vera e propria condanna morale.

Sono molte le colpeche i sostenitori della neoavanguardia attribuiscono a questi argomenti, soprattutto quelle, inemendabili, di misoneismo. Ma quanto costoro pensano e fanno, si cala perfettamente su molta architettura attualmente prodotta. Frontalità, come luogo della rappresentazione cui si accompagna quanto di più prossimo vi è all’idea di rivelazione; leggerezza e trasparenza, come trasposizione della piattezza e della fluidità televisiva; semplificazione dei partiti chiaroscurali, come deliberata identificazione con l’assenza di profondità; dissimulazione dei segni dalle materie edilizie, come cancellazione delle tracce del lavoro umano (che le conferirebbero un tempo, una
storia); questo soltanto per indicare alcune tematiche (prevedibilmente) ricorrenti.
Tutto ciò parla della scomparsa del corpo degli edifici, le sole prerogative, le ultime, a richiamare l’attenzione sul deterioramentoe la finedelle cose umane e della materia. A ricordare l’esistenza e la profonditàdel tempo che vive al di là dell’ incessantemente presentedelle immagini digitali, che mostrano di aver trovato, erroneamente, il segreto dell’eternità. Ma, infine, va ricordato il senso diffuso di spettacolarità delle attuali immagini. Che coniuga un’idea del Nuovocome trasposizione della continua, infinita espansione della produzione e del consumo, di merci e di informazioni: ‘quel che costituisce il valore, ivi compreso quello di mercato, di un’informazione è la sua novità … Il mercato dell’arte è
informazione tradotta in quotazione. E l’informazione si misura sul grado di scarto dalla media … È per questo che le forme più valorizzate sono oggi le più inattese, perché, facendo più evento delle altre, riescono meglio a far parlare di sé … Paga solamente lo scarto dal codice; il dovere di originalità personale è diventato una necessità economica materiale …La ricerca dell’ optimum informativo, chiamata anche scoop, si rivela essere il solo arbitro che opera nell’arbitrario generalizzato del turbine innovatore del perpetuo’.4 Un turbinio sregolato e privo di misura, atopico e fluido, quello dell’arte e dell’architettura – aggettivazioni peraltro perfettamente intercambiabili con quelle che connotano il capitale finanziario5 – che ha dato l’impressione a molti, di poter inopinatamente e insperatamente partecipare a una temperie culturale che sino a poco tempo fa – nell’arte e nell’architettura – appariva straordinariamente selettiva.
Ma, si sa: tutti avanguardisti, nessun avanguardista, e le troppe immagini fanno fuori l’immagine.

Infine una singolarità, consistente nel notare come nel corso di questi ultimi anni, a proposito dell’immagine – nonostante la sua piena affermazione planetaria – si sia parlato poco o affatto di un aspetto decisivo che la riguarda: il carattere non solo ambiguo bensì propriamente luttuosoche fissa e condiziona il suo statuto. Questa lieveamnesia,
questa distrazione nascondono una delle chiavi principali per interpretare un fenomeno che travalica la contesa tra avanguardia e reazione. All’immortalità, alla vittoria delle immagini sul tempo, corrispondono i confini del corpo, la sua irripetibile contingenza, quella finitezza che lo rende allo stesso tempo illimitato e meravigliosamente insoluto.
Portare alla luce il corpo in architettura non è un disimpegno dalla civiltà dell’immagine o un semplice tentativo di ricomposizione della disciplina – poiché ‘l’essere umano, è questa la sua natura, non sopporta la decomposizione della forma, la nascita dell’informe’6 – bensì il tentativo di auto-tracciare un percorso, se si vuole, sul margine sconcertante e affascinante del mondo che può finire. È un passo per non cedere al giogo digitale, al gioco immaterialemercantile dell’immagine-spettacolo e del disimpegno digitale, del profilattico mettersi al sicuro in un’immaginazione disincarnata. Riesaminare il corpo è riformulare l’antica questione, attualissima, del rapporto con la materia del mondo, la sua misura e l’incommensurabilità dell’invenzione artistica e architettonica.

1. Vedi Régis Debray, Vita e morte dell’immagine, Il Castoro, Milano 1999, cap. I.
2. Mi riferisco al saggio di Franco Purini, Le nuove immagini architettoniche tra superficie e istantaneità, pubblicato su ‘Metamorfosi’ n. 12, che anticipò lo sviluppo di gran parte delle vicende architettoniche che seguiranno negli anni successivi.
3. Ivi, p. 236.
4. Ivi, p. 132.
5. L’immagine è la merce più preziosa oggi in commercio ed è il vero braccio armatodella società della comunicazione, in cui realizza l’equazione ‘il Visibile = il Reale = il Vero … (E) ora, come il mercato fissa sempre più la natura e i limiti delle rappresentazioni sensibili …, il segno di uguale si trasforma e diventa: ‘invendibile = irreale, falso, non valido’ (Debray, p. 300).
6. Jean Clair, De Immundo, Abscondita, Milano 2005, p. 17.

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