Ex voto tra le fronde

700 formelle in ceramica, preziose testimonianze di fede, autentica “arte povera”, ricca di un significato quanto mai prezioso, sono presenti nella chiesetta santuario della Madonna del Bagno, nella valle del Tevere. Raccontano la storia dei pericoli che si correvano nei tempi passati e che si corrono nei tempi recenti, e la storia dei miracoli che la fede sa impetrare.

In alto: la chiesa della Madonna del Bagno sopra un colle nella media valle Tiberina. Qui sopra: le pareti piene di formelle votive. In basso: formella votiva con la deposizione di Cristoforo di Filippo, miracolo all’origine del Santuario.

Mettiamo, una strada di grande comunicazione (la E 45), un piccolo bosco, una sorgente d’acqua ‘biancastra’ da tempo disseccata, una giovane quercia scheletrita, un frammento di ‘tazza da bevere’ in ceramica (Deruta è una delle capitali italiane della ceramica), una piccola chiesa a pianta quadrata che accoglie al suo interno, gelosamente murati alle pareti, circa 700 ex-voto tutti in ceramica. È una galleria a suo modo unica delle diverse fogge del vestire, delle forme di vita e dei pericoli che hanno caratterizzato la società rurale della media valle del Tevere dal 1657 (anno di inizio del culto) ai nostri giorni. Davanti alla ‘chiesetta del mio canto’ il Tevere, a poco più di cento metri in linea d’aria, dopo un salto a strapiombo tra una vegetazione ricca e selvaggia di querciole, pini, acacie, rovi e ginestre in gran quantità e altre piante ancora. Davanti all’occhio ammirato del visitatore o del viaggiatore la bella valle Tiberina, stretta e dolcissima, in un lento e pigro rincorrersi di colline verdeggianti sulle quali «passeggiano le Madonne ancora» le dolcissime «Madonne che vide il Perugino / scender neí puri occasi dell’aprile» (G.Carducci, Il canto dell’amore).

Chi dall’ingresso sud accede alla chiesetta (che il titolo solenne di santuario par quasi violentare un poco) si trova di fronte a uno strano complesso rurale formato da un lungo e stretto casolare (oggi oggetto di restauro) e da un più ampio e compatto edificio che non farebbe certo pensare ad una chiesa se non fosse per un campaniletto a vela e un grazioso lanternino sul centro del tetto. A chi viene invece da occidente salendo per la larga scalinata, la nobile seppur semplice facciata rivela immediatamente cos’è che lo attende. La chiesetta-santuario della Madonna del (o di) Bagno, già nota come Madonna dei Bagni, è così chiamata a causa delle sorgenti d’acqua che davano il nome alla località: il Bagno, appunto. È il classico tropo di antiche tradizioni ascetiche: la strada, l’albero, la fonte dell’acqua. Ma è entrando che lo stupore prende il visitatore con la forza d’una rivelazione: in uno spazio complessivamente angusto (m.13 x 9 ca.) l’architetto ha ricavato un edificio a tre navate, tutte a volta, con deambulatorio retrostante all’altare, pure a volta, e con una leggiadra cupoletta completamente inscritta nella totalità dell’edificio e dunque insospettabile dall’esterno. Assai bello e nobile l’altare maggiore completamente dorato a foglia d’oro che incastona ciò che resta della giovane quercia che accolse il frammento di ceramica della tazza per bere (di largo uso allora tra i viandanti) che è all’origine del culto. Pregevole un antico Cristo ligneo, di recente acquisizione, che anima con la sua sofferta presenza e il suo drammatico sguardo la cappella della preghiera silenziosa ricavata da una vecchia cantina.

Un po’ di storia
Era intorno al 1650. Cristoforo merciaro di Casalina, uomo pio e devoto alla Gran Madre di Dio, vide sul sentiero che da Casalina portava a Deruta, un fondo di ‘tazza da bevere’, già assai mal ridotto dai piedi dei viandanti e dagli zoccoli dei cavalli e altri animali che di frequente battevano quel sentiero. Cristoforo raccolse il misero frammento e lo fermò tra i rami d’una giovane quercia. Dopo qualche anno lo stesso merciaro, avendo la moglie malata per grave infermità, passando ancora davanti alla piccola immagine da lui fissata sulla quercia, le raccomandò la guarigione della donna. Tornato la sera alla sua abitazione, la trovò che stava spazzando la casa. Immediatamente si creò attorno a quell’immagine e a quell’albero un grande moto di devozione popolare che la Chiesa dovette regolare e disciplinare. Trent’anni dopo, il minuscolo oratorio era diventato il piccolo tempio che oggi vediamo.

Gli ex voto
Sono il vero tesoro del piccolo santuario. Settecento formelle tutte in ceramica rendono straordinariamente vivace e luminoso l’interno oltre a rappresentare una preziosa e quanto mai gustosa galleria di personaggi e di situazioni d’un mondo ormai definitivamente passato, che però sta cedendo il testimonio agli anni contemporanei con un’ampia gamma delle sue situazioni di pericolo. Così il mondo dei tori che incornano il contadino, dei cavalli che disarcionano il cavaliere, della donna o dell’uomo che cadono dal ramo dove stanno cogliendo la foglia per le bestie, dei soffitti che cedono, delle piene che trascinano via la barca che precorse il moderno ponte di ferro (uno dei pochi regali della guerra), sta cedendo il passo ai pericoli del traffico (treni, auto, moto), gli archibugi cedono il passo alle granate, mentre cominciano ad affacciarsi la chirurgia a cuore aperto, i viaggi della speranza, le folgorazioni da energia elettrica. Non ultimo tesoro sono le non moltissime scritte nella lingua popolare dell’epoca, di cui citerò solo questa perla: «chasscho (cadde) del brutto male» (epilessia). Uno dei mille tesori minori (?) dell’Umbria, molto amato dagli stranieri, un gioiello che se fosse a Spoleto o ad Assisi godrebbe certo d’una ben altra fama e risonanza. Ma forse per la devozione e la pietà è quasi meglio così.
Prof. Don Antonio Santantoni

 

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