Dove l’Arcangelo ha posto dimora

La scultura per la Sacra di San Michele sul Pirchiriano

San Michele Arcangelo e il maligno: questo il soggetto della scultura che P. Antonio Salvatori, dei Padri Rosminiani ha voluto per completare l’eremo piemontese. Dal concorso indetto nel 2003 emerse un bozzetto vincitore che ora è stato realizzato. Presentiamo l’opera con uno scritto di P. Giampietro Casiraghi.

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L’Arcangelo Michele è tornato ad abitare il Pirchiriano, il monte che più di mille anni or sono aveva scelto come sua dimora. "E tu, o arcangelo Michele, mio principe glorioso, non disdegnare di assistere me, tuo umilissimo servo, che desidero rendere note le tue imprese miracolose […]; tu che hai scelto questo luogo come tua sede con pia e
clemente considerazione", così scriveva poco dopo la metà del secolo XI il monaco autore della Cronaca dell’abbazia della Chiusa, chiedendo la protezione e l’aiuto dell’arcangelo per comporre la sua opera (Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini, a cura di G. SCHWARTZ ed E. ABEGG, in MGH, Scriptores, XXX, Lipsiae 1929, p. 959). Il racconto prodigioso della scelta del Pirchiriano, sul quale l’arcangelo voleva abitare, aveva, per il monaco cronista, lo scopo di rendere sacro il luogo dove Ugo d’Alvernia, qualche decennio prima dell’anno Mille, avrebbe fondato l’abbazia. Ora – suggerisce il cronista –, dopo la scelta fatta dall’arcangelo Michele, il Pirchiriano, il monte che i monaci designarono come il luogo dove arde e splende tutt’intorno "il fuoco del Signore", è un monte particolarmente sacro all’arcangelo, pari a Monte Sant’Angelo sul Gargano e a Mont-Saint-Michel in Normandia; è il luogo della sua presenza e dei suoi prodigi, sulla cui cima l’arcangelo da tempo aveva progettato di costruire un monastero a lui dedicato. Una sorta di "fondazione divina", quella fatta dall’arcangelo, precedente l’istituzione dell’abbazia ad opera di Ugo d’Alverna, precedente l’opera stessa dell’uomo. Pertanto, l’abbazia fu voluta e fondata dall’arcangelo; soltanto in un secondo momento intervenne la mano dell’uomo, intervenne cioè il vero fondatore dell’abbazia, Ugo d’Alverna, che forse senza rendersene conto interpretò e attuò su quel monte la volontà dell’arcangelo Michele.

Nelle foto: la scultura in bronzo raffigurante l’Arcangelo Michele e il maligno, collocata su uno sperone di roccia, nei pressi del basamento dell’Abbazia.
L’Arch. Giuseppe Maria Jonghi Lavarini, direttore di CHIESA OGGI architettura e comunicazione, con P. Giuseppe
Bagattini, Rettore dell’Abbazia e Paul dë Doss Moroder, autore dell’opera scultorea in bronzo.

Il prologo, scritto dal monaco cronista per dar inizio alla sua opera riguardante i primi decenni di vita dell’abbazia, non è altro che un breve trattato di teologia sulle imprese miracolose dell’arcangelo Michele, il "principe glorioso, che possiedi come qualità propria e per così dire singolare quella di tenere testa ai superbi per volere del tuo Signore, come è tramandato dal tuo nome"; sono sempre parole del monaco cronista che nel suo scritto si rifà alla tradizione biblica. Una teologia, quindi, attinta dalla Sacra Scrittura, dell’Antico e Nuovo Testamento, e tramandata per secoli nei trattati di teologia, che rifletteva il culto vivo e nobilissimo attribuito dagli uomini del medioevo all’arcangelo, l’angelo della luce che splende sul monte, la fiamma ardente che sconfigge le tenebre del male, il difensore del popolo cristiano in cammino verso la Gerusalemme celeste. Anche la statua dell’arcangelo Michele è senza dubbio un riflesso di questa teologia. L’arte cristiana è infatti – e lo è stata per molti secoli – il riflesso del dibattito teologico in continua trasformazione, così da tradurre in immagini vive i misteri della fede, riscaldare il cuore dei fedeli e invitarli alla conversione della vita. È la via della fede come bellezza, la "via pulchritudinis", additata da Paolo VI nel 1975 ai partecipanti al congresso mariologico internazionale come un modo adeguato per presentare la Vergine Maria al popolo cristiano; una via accessibile a tutti, accanto alla via dei dotti, la via della speculazione biblica, storica e teologica, riservata a poche persone. Sono note le tre funzioni delle immagini sacre: ricordare, commuovere e insegnare, basate sul principio che il Figlio di Dio, nato da una donna, Maria, è l’epifania, è la manifestazione del volto nascosto di Dio.A partire da questa considerazione, del Cristo fatto uomo, la bellezza dell’arte cristiana non può essere considerata soltanto un dato oggettivo, che vede il bello come armonia, perfezione, compiutezza, ma anche come una storia trasfigurata e interpretata liricamente dall’artista, un’espressione simbolica del pensiero e della vita cristiana. Cantate a Dio con l’arte, celebrano i Salmi.

Nelle foto: Alcuni momenti dell’inaugurazi
one della statua dell’Arcangelo Michele, alla presenza delle Autorità. Madrina dell’evento, la signora Teresa Salvatori, sorella di P. Antonio, già Rettore dell’Abbazia e promotore dell’iniziativa, scomparso nel 2003. Tra i presenti, Prof. Enrico Nerviani, Presidente del Comitato Sacrense, Arch. Cristiana Aletta, Presidente Associazione Volontari della Sacra di San Michele, il Questore di Torino, Dr. Rodolfo Poli, il Vicesindaco di
Sant’Ambrogio, D.ssa Enrica Regis, Arch. Daniela Biancolini, Soprintendente BB.AA.PP. del Piemonte.

Anche oggi esistono tendenze che cercano di recuperare l’arte cristiana quale fonte di simboli teologici capaci di arricchire la mente e il cuore e provocare intense emozioni di fede e di spiritualità. Lo fanno attingendo al ricco patrimonio storico, artistico e iconografico della Chiesa e dei grandi maestri, che hanno espresso e continuano ad esprimere anche oggi il mistero della presenza di Dio nel mondo attraverso l’arte… e che Arte! Senza timore di restare delusi, possiamo porre in questo contesto teologico anche la statua dell’arcangelo Michele che oggi inauguriamo ai piedi dell’abbazia sul Pirchiriano, opera, una bella opera a mio parere, di Paul dë Doss Moroder, che sottintende una teologia per molti aspetti nuova ed inedita: la simbologia di un arcangelo di pace, la pace di cui il nostro mondo ha bisogno. L’arcangelo non vi è infatti raffigurato nella forma tradizionale di un angelo armato di spada che sconfigge l’antico serpente (Gen. 3, 1), il drago dell’Apocalisse (Ap 12, 3-9), o che nelle forme di un angelo giustiziere pesa con la bilancia il bene e il male di chi si presenta alle porte del Paradiso; bensì nelle forme di un angelo della pace, rivestito di un abito simile a quello dei monaci, che dopo aver sconfitto il male, rappresentato dalle ali del principe dei demoni (Lc 11, 14) abbandonate senza vita ai piedi della roccia su cui sorge l’abbazia, depone e getta a terra la spada con la mano destra, mentre il volto e la mano sinistra si aprono a un gesto di pace e di accoglienza, il gesto di pace di chi accoglie il pellegrino che visita la Sacra. Ma vi è ancora un particolare da notare, che l’autore ha forse inteso significare: le due ali dell’arcangelo, una delle quali si apre verso il cielo, mentre l’altra è rivolta verso la terra, come se il cielo e la terra si unissero in un grande arcobaleno di pace, che le antiche scritture chiamano "arco di Dio", segno dell’alleanza di Dio con l’umanità (Gen 9, 12-16), splendore della gloria di Dio sulla terra (Sir 43, 11-12). Segno, in altre parole, di pace fra il cielo e la terra, nel senso della parola ebraica “shalôm”, parola che proviene da una radice che dice compimento, perfezione, pienezza di pace, e che designa ciò che il credente può sognare di meglio e il meglio che il credente può desiderare per gli altri (Lv 26, 3-13). Yahvé soltanto possiede la pace, dice la Bibbia, e la augura a quanti lo servono, a tutti noi qui presenti e ai pellegrini che verranno a visitare la Sagra.

P. Prof. Giampietro Casiraghi Storico della Sacra di San Michele.

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