Dove abitano il rispetto e la dignità

I° PREMIO NAZIONALE DI IDEE DI ARCHITETTURA “I SAGRATI D’ITALIA”
Consiglio Nazionale degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori
presso il Ministero della Giustizia

Chiesa Oggi – Architettura e Comunicazione

Dalla città delle auto alla città dell’uomo? La mancanza di luoghi adatti alla socializzazione è diffusa e sofferta. Una nuova concettualizzazione del sagrato diventa importante per il pensiero urbanistico contemporaneo. Carlo Chenis presenta problematiche e prospettive in preparazione del I° Premio Nazionale di Idee di Architettura “I Sagrati d’Italia” lanciato dal CNAPPC e da CHIESA OGGI architettura e comunicazione.

La città di tutti i giorni vive nel paradosso della fantasmagoria e della vorticosità. Il sistema pubblicitario si fa trasgressivo e incalzante, poiché deve sedurre il viandante ormai privato di spazi per sostare nell’intricato sistema urbano. Diventa difficile umanizzare gli esterni, ammirando effimeri e architetture svettanti verso il cielo. I mezzi di locomozione hanno invaso la città, per cui in molti si è creato il convincimento che quanto interconnette casa, ufficio, fabbrica, supermercato, discoteca, è luogo di puro passaggio e non di rilassante fruizione.
È dunque venuto il tempo di ridare sacralità agli esterni del sistema urbano, affinché la collettività ritrovi il senso della polis e il contatto con la natura. Attualmente strade e piazze servono quasi esclusivamente per lo scorrimento delle auto e per la separazione degli edifici. Anche nelle zone a traffico limitato e nelle aree pedonali gli spazi aperti hanno perso varietà tipologica.

" Va organizzato in misura della sua funzione rituale e sociale in quanto è di rilevante importanza psicologica tanto per i cristiani quanto per i non cristiani"
Rev. Prof. Carlo Chenis

Mancano esterni idonei alla socializzazione che siano differenziati per target e per uso. Manca soprattutto la coscienza della possibilità di riabitare e riqualificare tali spazi disegnando una città a misura d’uomo. Vittima illustre di questa entropia urbanistica e della diffusa secolarizzazione è il sagrato, sovente riciclato a parcheggio, devoluto al transito, ridotto a piazza, esautorato di sacralità.
In passato, invece, il sagrato ebbe notevole importanza tanto sul piano civile quanto su quello religioso.
Mentre era relativamente secondario lo spazio domestico, nella civitas christiana assumeva rilevanza lo spazio pubblico, quale la piazza, il «corso», la loggia, il portici, i viali e, soprattutto, il sagrato. Il nucleo familiare incrementava la sua identità negli ambienti comuni.
La polis era definita dai poli pubblici e dagli spazi aperti. Quartieri e sestieri nel loro intreccio di passaggi portavano gli abitanti verso i luoghi di incontro civile e religioso. Dal momento che in Italia era dominante la cultura cristiana il sagrato assolveva la duplice funzione tanto civile quanto religiosa. La polis della postmodernità, segnata da una civiltà
multirazziale e multireligiosa, necessita ancora di sagrati? Per dare una risposta a questa domanda è d’uopo superare indifferentismo e laicismo. In nome della laicità dello Stato non si può infatti negare la civiltà di un popolo nei suoi usi, nei suoi costumi e nelle sue tradizioni, per cui i processi urbani non devono neutralizzare quelli umanistici e quelli storici. La «città del futuro» postula un’urbanistica che si faccia rappacificante scenografia dinanzi a cittadini riuniti per condividere la quotidianità, per ricrearsi ludicamente e, soprattutto, per esprimere la propria fede.
Del resto, l’architettura ha rappresentato in tutte le civiltà un manifesto sociale, poiché nella sua imprescindibile
valenza formativa ha indicato al succedersi delle generazioni le modalità dell’abitare nell’attenzione reciproca e
nell’apertura al divino. Per l’attuale crisi mondiale cagionata dal terrorismo, insania urbanistica sono i quartieri dormitorio dove le strade non conducono, né dentro la piazza, né davanti al tempio. Funzione deterrente hanno invece quelle soluzioni atte a riproporre la convivenza umana nel rispetto della dignità personale indipendentemente dalla razza e dalla religione. Il recupero del sagrato nella sua vitalità sacrale e nella sua funzione urbanistica, riattiva la memoria cristiana il cui credo si qualifica nel saluto pasquale di Cristo: «Pace a voi!».
Si tratta dunque di un «luogo di pace» aperto al sociale e al religioso. Il sagrato va pertanto ripristinato in questo suo significato.
Da esso il fedele deve poter ammirare il portale della chiesa che si espande sulla facciata indicando Cristo, salvatore del mondo, e il lontano deve poter apprezzare un luogo in cui il culto di Dio si traduce in opere di misericordia verso il prossimo. Ne deriva uno spazio aperto dove il cristiano è chiamato a coniugare la preghiera alla vita e il lontano a rispettare l’annuncio del vangelo. Nella rimodulazione urbanistica ai fini di un umanesimo globalizzante, tra gli spazi aperti da recuperare all’uso sociale in Italia vi è dunque il sagrato. Esso va specificato nei confronti del sistema viario, poiché si pone come filtro tra il vissuto civile e quello religioso. Occorrono soluzioni innovative per correlare il sagrato all’edificio cultuale, al fine di ritemprare l’identità architettonica degli edifici storici e di prospettare nuove fruizioni degli edifici contemporanei. Tale spazio va organizzato in misura della sua funzione rituale e sociale in quanto è di rilevante importanza psicologica tanto per i cristiani quanto per i non cristiani. La sua struttura è chiamata a nobilitare ciò che in esso accade, disponendo al raccoglimento spirituale chi sta per entrare in chiesa, incentivando alla condivisione fraterna chi in esso vi sosta, sospingendo alla missione chi esce dalle celebrazioni religiose, evidenziando dinanzi ai fedeli i grandi momenti dell’esistenza umana, sostenendo in tutti il dovere della tolleranza religiosa.
Data la sua valenza sociale, non è inopportuno connettere al sagrato – qualora sia significativo per il contesto urbano – luoghi sotterranei o spazi porticati, onde ampliarne le funzioni di accoglienza oltre che di socializzazione.
Il sagrato va
dunque restituito ai cittadini e tolto alle auto, poiché attraverso di esso si può annunciare l’utopia di un «mondo migliore». Nella sua progettazione non si può allora dimenticare la componente escatologica attraverso cui il cristianesimo ricorda che la fine dei tempi sarà contrassegnata dall’ingresso dei redenti nella «celeste Gerusalemme ».
La «città ideale» in questo mondo non deve allora far dimenticare che «non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14), per cui – come ammonisce Demostene – «guai a quella città che non trova spazio per il tempio»

Rev. Prof. Carlo Chenis,
SDB Segretario Pontificia Commissione
per i Beni Culturali della Chiesa

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)