“Sinfonia di bambù” a Bangalore

La temperatura di Bangalore, in India, oscilla tra i minimi invernali di 15 gradi e i massimi estivi di 33 gradi. Non è dal freddo che ci si deve difendere ma, semmai, dalla pioggia che cade copiosa soprattutto in settembre. 
“Sinfonia di bambù”, così battezzato dai progettisti, Manasaram Architects, è pensato in quel contesto temperato caldo e piovoso: sostanzialmente un tetto, di disarmante semplicità, disposto come un tessuto che poggia delicatamente sui sostegni. 
Architettonicamente ben più di un tetto: un’idea elaborata con cura partendo da un presupposto di fondo: usare materiali locali e valorizzare il bambù. E rendere la forma leggera, come un’ala. La conformazione nasce dalla struttura, come nella migliore architettura.

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Sono naturali. Perché non è la forma né il disegno il primo componente dell’architettura, bensì è il materiale quel che determina l’aspetto dell’edificio. 
In mattoni non si faranno mai grattacieli, ma certamente si possono costruire ponti anche arditi. Qui le canne di bambù sono incrociate, sia in verticale, sia in orizzontale, così da generare una controventatura efficace, perché leggera e allo stesso tempo elastica, secondo una procedura che appare casuale nel suo ripercorrere modalità primigenie. L’edificio ha un che di selvaggio, ma allo stesso tempo di autentico.
Perché nasce dalla risposta che un artefatto, nella sua essenzialità primaria, offre alle condizioni di necessità. Oltre al bambù, nella costruzione sono stati utilizzati il legno, il metallo, il cemento, blocchi di terra cruda compressa, e la pietra.
Mettendo assieme una procedura antica e una tecnica contemporanea, i progettisti hanno composto una trama di cannule di bambù intrecciate a formare una stuoia, poi mollemente appoggiata sui sostegni la cui disposizione ha dato luogo alla forma  leggermente ondulata. 
Su tale superficie è stato colato il cemento, che l’ha “pietrificata” e impermeabilizzata, dando luogo a uno spessore la cui massa offre anche un efficace isolamento termico che protegge dall’irraggiamento solare. Si tratta in pratica di un aggiornamento della tecnica dell’“incannucciato” che nei secoli passati era usato per isolare coperture e solette delle abitazioni.
Allo scopo di ridurre al minimo il peso di questa originale copertura in cemento “armato” di bambù, nella mescola cementizia sono state aggiunte anche fibre di bambù. Nel complesso questa leggerezza materiale del tetto si apprezza anche con la vista, offrendo un’immagine percettiva plastica quanto aerea.
Vista della Sinfonia di Bambù dallo specchio d’acqua attorno a cui si snoda. “Credo che un edificio debba essere visto da chi lo occupa come qualcosa di vivo, dotato di uno spirito proprio. 
Qualcosa che cambia col variare delle stagioni…” scrive Neelam Manjunath.
Neelam Manjunath si è laureata in Architettura nel 1987 a Lucknow (Uttar Predesh, India). Nel 2009 si è diplomata anche in Teologia nell’università di Dayalbagh. Nel frattempo aveva cominciato a collaborare con studi di progettazione di rilevanza internazionale, ha seguito corsi di specializzazione in agricoltura, edifici verdi, tecnologie innovative, filmografia e altro. Dopo aver lavorato a New Delhi ha aperto il proprio studio, Manasaram Architects, a Bangalore. Ha svolto master e corsi universitari sull’uso del bambù nella progettazione e ha vinto diversi premi di architettura: sulla “Applicazione del bamboo nelle costruzioni” e sulla “Architettura rurale”.

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Sono in parte stati realizzati con blocchi di cemento prefabbricati, in parte con elementi in pietra o laterizio legati tra loro da malta cementizia, in parte da blocchi di argilla cruda compressa e lucidata. 
Ne risulta una varietà materica che si traduce in alternanza cromatica pur entro una tavolozza strettamente limitata ai colori naturali che nel complesso compongono un quadro eterogeneo, a volte sorprendente, sempre fedele a un racconto strettamente radicato nella visione ecologica che alimenta la creatività di Manasaram Architects, che con tale metodologia di lavoro riproduce nell’architettura contemporanea il rispetto per la natura, atavico nella cultura indiana.
Accesso al giardino che circonda l’edificio per uffici e (in alto) l’ingresso di quest’ultimo. 
A sinistra: sezioni trasversali e longitudinali, si notano, nell’alzato est, i diversi materiali che compongono i muri e, nell’alzato sud, le differenze di quota del terreno che, nella parte bassa, raccoglie uno specchio d’acqua.
Siamo veramente di fronte a un “open space”, anche se il termine di solito collegato a proposte high tech suona strano applicato a questo edificio. Si tratta di un ufficio con sala convegni, studi privati, reception, ambiente per l’informatica, bagno, cucina. Ma forse è questa un’ipotesi alternativa per l’ufficio del futuro.

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