LO SPAZIO E LA CELEBRAZIONE

Vincitrice del concorso per i “Progetti Pilota” indetto dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2001, quest’opera di Mauro Galantino è stata portata a compimento nel 2009.
Si tratta di un centro parrocchiale di notevoli dimensioni, la cui realizzazione tralascia ogni vezzo stilistico per andare all’essenza delle cose, com’è nella consuetudine del Razionalismo.
Alla composizione degli ambienti e degli elementi è lasciato il compito di generare successioni e proporzioni di spazi che assumono carattere eloquente: a partire dal campanile, che avanza allo spigolo del complesso e prepara l’accesso a un sagrato protetto su tre lati: luogo di mediazione e di meditazione. È una chiesa pensata in attenta collaborazione tra progettista e committente; un’architettura che si manifesta nell’alternarsi di luci, ombre, trasparenze.Il muro est dell’interno non ha più una grande finestra controllata da una piccola parete parasole, mentre mostra la stanza dalla forma cilindrica riservata ai bambini che, durante le messe, giocano, e alle mamme che partecipano attraverso una bella finestra.
La grande pala pittorica della Madonna col Bambino è collocata nell’ambiente di passaggio fra aula e cappella, e reca una finestra sotto di sé che fa intravvedere l’acqua del “fiume Giordano” in omaggio alla tradizione orientale che indica il nesso fra generazione del battesimo e generazione di Maria.
La policentricità dei luoghi liturgici ha suggestionato anche la progettazione e la collocazione dei corpi di canne dell’organo i quali, comandati da un’unica consolle, sono posizionati in tre luoghi: il grand’organo e l’organo espressivo fra coro e assemblea, l’antifonale nella gradinata sopraelevata, un organo positivo nel grande ambone.
Con quest’ultimo si risponde all’origine della musica liturgica perché le prime forme di modulazione musicale nella storia d’Israele furono quelle legate alla proclamazione e al canto dei salmi.È cambiata la collocazione della pala del Crocifisso.
Esso, la Madonna col Bambino, la Pietà (collocata nella cappella) e la Via Caritatis in pannelli in vetro serigrafato (posti nell’”orto degli ulivi”), sono opera di Bert van Zelm, artista olandese trapiantato a Barcellona, testimone dell’arte figurativa, che ha collaborato con committente e architetto in modo molto ricco.
È invece stato controllato con sicurezza dall’architetto l’aspetto esterno della chiesa, a parte l’apertura del portale e l’esonartece, perché i cambiamenti della fabbrica avrebbero coinvolto anche il delicato equilibrio della relazione fra chiesa e città che appariva motivato.
La fabbrica è rimasta quella, se non dove la liturgia lo richiedeva, un segno valido dell’innesto della costruzione nell’albero buono della Chiesa. Al programma iconografico esterno occorre ancora lavorare.”Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto…” È una delle espressioni che frequentemente ritornano nella preghiera ufficiale della comunità cristiana. Le parole racchiudono il desiderio di incontrare il volto di Dio attraverso i santi segni che il linguagguio cultuale pone in evidenza. Da qui lungo la storia dell’architettura sacra il patrimonio di elementi che con pluralità di linguaggi rinviano al volto di Dio espresso attraverso la ricchezza del panorama iconografico.
La tradizione conosce varie soluzioni circa la disposizione dell’assemblea celebrante. Da quella basilicale a quella parrocchiale per giungere, in parallelo, a quella monastica, senza dimenticare le istituzioni che offrono spazi per incontri e ritiri spirituali. Se non si opera una distinzione in questa pluralità di offerte, si rischia forse di creare confusione e di non ottenere quel clima di preghiera cui invece deve tendere la soluzione proposta per lo spazio celebrativo.Una comunità monastica ha necessariamente una disposizione assembleare in cui i monaci sono disposti in due cori che si fronteggiano.
Lo richiede soprattutto l’opus Dei, l’impegno di preghiera che si attua proprio nella disposizione in due cori. Da qui lo stesso atteggiamento e la stessa disposizione anche per la celebrazione dei santi misteri.
In tempi recenti si è venuta sviluppando una simile prospettiva delle due parti dell’assemblea che si contrappone in due settori che si fronteggiano, in seguito alla diffusione del movimento neocatecumenale.
È una disposizione che riflette una linea teologica che può andare bene nell’insieme di un percorso qual è quello tipico del movimento, ma non estendibile a ogni struttura parrocchiale per la diversità di prospettiva orante che caratterizza le due entità. Il voler trasporre una simile soluzione in un contesto parrocchiale ordinario, offre occasioni positive, insieme a elementi che possono suscitare forti perplessità.In positivo, riflettendo però a partire dalle immagini a disposizione e quindi senza quella esperienza diretta che da sola permette una valutazione oggettiva, viene da riflettere su questi elementi: osservando le immagini della struttura ecclesiale della Comunità parrocchiale di Galantino emerge in modo eloquente l’importanza data all’ambone. Lo merita per essere la prima mensa; lo merita perché è da questa mensa della Parola che scaturiscono i sacramenti, a cominciare dall’Eucaristia; lo merita anche per l’imponenza strutturale che lo caratterizza, e che fa ripensare agli amboni classici che da soli parlano ancora oggi per l’eloquenza delle forme e per la ricchezza del contenuto iconografico, sempre a servizio della Parola! Una simile disposizione può permettere una processione con l’Evangeliario davvero solenne, come richiesto dall’importanza del momento; come è pure un luogo da cui proporre un’omelia che risulti anche dal luogo “parte della celebrazione”.Di riflesso si impone la centralità dell’altare.
Nella sua semplicità lascia intravedere la sua funzione di ara per il sacrificio. La sua collocazione sull’asse centrale, speculare all’ambone, se pur meno invadente come massa, denota il secondo polo della celebrazione. La soluzione dei gradini per accedervi tiene conto di una pluralità di ministeri e di una funzionalità rispetto ai movimenti del celebrante in ordine alle attese dell’assemblea. Significativa la disposizione anche delle candele.
La struttura generale dell’aula appare ben coordinata negli elementi essenziali: dalla sede presidenziale al luogo per il coro, all’organo a canne fino al collegamento con la cappella feriale, con l’aula della Penitenza e soprattutto con lo spazio per il fonte battesimale che non è posto nell’aula ma strettamente collegato a essa, e quindi rispettoso del significato di luogo di ingresso nell’aula stessa. Il movimento dato al soffitto, unitamente alla luce naturale che inonda con discrezione la navata, contribuiscono a dare unitarietà alla singolarità dei fedeli distribuiti frontalmente nelle due parti.
In dialettica critica, ma sempre con il beneficio del limite sopra ricordato, dipendente dal fatto di riflettere in modo teorico e non a partire dall’esperienza celebrativa, si può osservare quanto segue: il fedele che durante la settimana si è confrontato con i tanti volti dei fratelli nelle molteplici occasioni del quotidiano, ha bisogno nella santa assemblea di rivolgere lo sguardo a quei segni che rinviano direttamente al volto del Signore. In questo senso il guardarsi in faccia – nel contesto parrocchiale – può essere più un elemento di disturbo che di elevazione spirituale.La celebrazione liturgica in uno spazio così organizzato presuppone una particolare Per questo la tradizione ha sempre posto dinanzi al volto del fedele una molteplicità di segni, perché nella contemplazione di questi egli possa confrontarsi e riprendere forza per tornare alla vita e contemplare con occhi più limpidi il volto del fratello.
Un secondo elemento non è condizionato dalla dialettica odierna attorno al crocifisso posto sull’altare, anzi! Basta tener conto di quanto indicato nell’introduzione al Messale per risolvere questa discussione non impostata
correttamente.
È importante ed essenziale, però, che il crocifisso sia presente e ben visibile da tutti per ricordare che ogni celebrazione sacramentale è memoriale della Pasqua di Gesù Cristo. La sua presenza è necessaria perché nella sua evidente eloquenza costituisca un richiamo efficace alla sacramentalità della Parola e soprattutto degli altri segni che attualizzano nel tempo il sacrificio di Cristo. Di riflesso sarà da considerare la presenza e la collocazione dell’immagine-statua della Vergine Maria – del resto sempre ben ricordata nel cuore della Preghiera eucaristica – e degli eventuali santi Patroni della Comunità.
Sembra essere una linea che tende a diffondersi, a mio parere con notevole impoverimento, quella di offrire pareti senza simboli o raffigurazioni. È una soluzione che certamente invita a concentrare l’attenzione sull’assemblea e sui segni essenziali. Ma la psicologia del fedele ha bisogno anche di ritrovare nel panorama iconografico di una struttura ecclesiale quei segni, quei messaggi iconici, quei simboli, quelle figure… che mentre riflettono una storia, rinviano al compimento di tale storia nella dimensione escatologica. Ecco perché c’è bisogno di segni che contribuiscano a dare quell’unitarietà di prospettiva di fede che certo non può essere offerta dal biancore delle pareti.Le “letture” di simili soluzioni architettoniche possono prestarsi ad una dialettica con prospettive pro et contra. La conclusione, al di là della dialettica delle opinioni, la può scrivere solamente chi vive nella comunità parrocchiale la propria esperienza di fede. L’abitudine allo spazio sacro può ingenerare assuefazione a ogni soluzione architettonica. Importante sarà offrire, oltre allo spazio per la preghiera ufficiale, quello per la preghiera personale. E allora anche questa soluzione avrà trovato un senso pur nella criticità di alcune soluzioni. In questa linea, la deontologia dell’architetto si pone di fronte alle domande del responsabile della celebrazione: al liturgista. Se questi possiede in modo teorico e pratico l’esperienza della celebrazione, allora ha modo di proporre soluzioni in cui i poli della celebrazione appaiono a stretto servizio di una comunità che in quel momento radunata nel nome della Ss.ma Trinità eleva il proprio sacrificio spirituale unita al sacrificio di Cristo.
E questo sarà possibile raggiungerlo ancora più in pienezza qualora lo stesso architetto entri in dialettica “spirituale” con ciò che disegna.
Sulla linea dei grandi maestri di altri tempi forse è da riprendere il discorso della spiritualità dell’architetto che ponendosi ad elaborare un progetto lo faccia dopo aver meditato il senso teologico di uno spazio destinato alla celebrazione dei santi misteri.Don Marco Pongiluppi, può spiegare come si è giunti a definire una “Communio Raum” piuttosto inconsueto per una parrocchia in Italia?
Nel progetto di Concorso, il sistema delle aperture della facciata era “a nastro”, esprimendo bene l’accoglienza materna della chiesa, ma con il portale, oggi, si esprime anche la dimensione cristologica dell’esperienza della soglia. Il cambiamento avvenne con diversi elementi: la progettazione del nartece esterno, un ambiente molto accogliente, illuminato zenitalmente, e il nartece interno, a graduare l’accesso della fede; il portale stesso come “taglio” della facciata e segno eloquente, la costituzione dell’asse interno che dal portale conduce alla cappella del sacramento, che ha come componente a destra la “chiesa del battesimo” e la grande fontana d’acqua chiamata “fiume Giordano”, accompagnato in alto dalla segnalazione discreta dell’ala del velario sospeso.
Il progetto di Concorso prevedeva l’altare su un palco semicontinuo con ambone e sede su una stessa linea visiva, in una maniera comune ai progetti recenti. Essa impediva il movimento verso l’altare nei momenti peculiari, ed era sotto la parete est di fondo, un muro di 15 metri di altezza per 30 di lunghezza, che dava l’impressione di una radicale “chiusura” dello spazio. Il dialogo ha recuperato il significato di finito-infinito delle absidi e ha portato a immaginare il limite come un prolungamento invece che come un muro. Per queste ragioni il progettista ruotò l’aula verso nord.
Il dialogo che si instaurò nei primi decenni del ‘900 fra Romano Guardini e Rudolf Schwarz approdò alle “Communio Raum”, cappelle in cui la comunità è un vero soggetto, e generò indirettamente diverse chiese parrocchiali. La costruzione della Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo apostolico pochi anni fa, fu completata con l’assemblea disposta una metà di fronte all’altra e con altare, ambone e sede su uno stesso asse. È stato chiarito che lo schema viene dalle prime chiese siriache e, a monte, dall’impostazione sinagogale, con sedute su cui la comunità si disponeva una metà di fronte all’altra, con l’ambone su un “bema”, cioè su un grande rialzo apposito, identificante il luogo memoriale al centro dell’aula.
Negli anni precedenti la costruzione, in particolari periodi liturgici abbiamo fatto l’esperienza di posizionare i banchi in modo da creare maggiormente il senso dell’assemblea con l’altare e l’ambone contrapposti. L’esperienza è stata felice e ha permesso alle comunità di recepire quello che, a ondate successive, si è comunicato e si è discusso. A più riprese Mons. Giancarlo Santi, allora responsabile dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali della CEI, e Mons. Giuseppe Busani, responsabile allora dell’Ufficio Liturgico CEI, hanno discusso con committente e gruppo di progettazione, mentre gli uomini della Chiesa modenese hanno validato con una naturale disponibilità. Questi validi elementi hanno portato a decidere serenamente che nella nuova chiesa si impostasse l’assemblea e i luoghi liturgici in modo bifocale.Quali sono i presupposti su cui si fonda la scelta?
La comunità è tutta celebrante, diventando essa stessa un luogo liturgico, radunata intorno all’ellisse centrale che, con il suo vuoto, allude alla comunione non descrivibile e prepara.
I poli liturgici hanno largo spazio intorno, hanno forte funzione focale e, nel caso dell’altare, il prolungamento visivo dell’orto degli ulivi, abside quanto alla necessità di “non chiudere” la visuale, evocazione evangelica e, finalmente, semplice, bel giardino. Rispetto alla sistemazione basilicale, si è raddoppiata la porzione di assemblea che ha visuale libera e si è dimezzata la distanza dagli ultimi posti ai luoghi liturgici. Si è recepito dalla letteratura l’invito di concepire di nuovo un ambone importante, memoriale della parola della risurrezione, come quello di San Marco a Venezia, a diversi livelli.
L’ambone di Gesù Redentore è un luogo liturgico, un memoriale della Parola, anche fuori della liturgia, non un leggio appoggiato di fianco all’altare, e il diacono in alto è tutt’uno con l’evangelo. Il fatto che risulti più grande dell’altare non gli toglie importanza perché esso ha una grande capacità di fuoco visivo ed è troppo importante nella liturgia da perdere il primato.In che modo la Comunità parrocchiale ha partecipato alla scelta di questa sistemazione?
La quasi totalità della comunità è pervenuta a una partecipazione convinta, compresi gli anziani.
Oggi, quando i fedeli vanno a messa in altri luoghi, soffrono le sistemazioni abituali dell’aula, ma occorre anche parlare molto per rispondere e formare.
Si sono messi in campo molte riflessioni e molti racconti: nel 2003 uno spettacolo di letture, musica e immagini sui motivi dell’erezione di una nuova chiesa, con testimonianze di teologi, poeti e architetti di diversi secoli; nel 2007-2008 i grandi momenti della catechesi parrocchiale furono dedicati ai valori di riferimento: la relazione città-chiesa, con il progettista, la relazione comunicazione-vangelo, con p. Lorenzo Prezzi
, direttore della rivista “Il Regno”, la relazione comunità-liturgia, con Mons. Piero Marini, fino al 2007 maestro delle celebrazioni pontificie, le opere d’arte con Bert van Zelm; infine il futuro delle chiese con l’Arch. Mario Botta; convinsero la comunità, infine, la prima celebrazione del Natale 2007 e la Dedicazione, il 4 maggio 2008.Complesso parrocchiale di Gesù Redentore a Modena
Progetto:
Arch. Mauro Galantino;
assistente: Ester Garzonio;
architetti collaboratori: E. Brichard, T. Cigarini, D. Frattini Frilli, A. Frenkel, P. Lorenzoni, V. Misgur, P. Mancia, P. Orecchioni, P. Rigodonzo, C. Rivi, P. Sturla
Liturgisti: Mons. Giuseppe Arosio (fase di concorso), don Marco Pongiluppi e Mons. Giuseppe Busani (realizzazione) Opere d’arte: Bert van Zelm
Direzione lavori: Ing. Claudio Tavoni, con Ing. G. Tenti e Ing. L. Reggiani
Impianti: Ing. Alex Sandelewski, con Ing. Enrico Molinaro
Corpi illuminanti: Disano Illuminazione, Rozzano (Milano)
Foto: Alberto MuciacciaLa celebrazione liturgica in uno spazio così organizzato presuppone una particolare vicinanza, conoscenza, intimità tra le persone maturata attraverso un cammino catechetico previo, oppure avete trovato che la stessa sistemazione dello spazio favorisce una maggiore conoscenza tra le persone e un particolare approfondimento del cammino catechetico?
L’impressione che la comunione cresca con la disposizione attuale c’è, ma essa richiede spiegazioni e una grande attenzione all’assemblea, sia nella comunità, sia nei lettori, sia nel prete. Oggi è abbastanza normale cogliere che non si può focalizzare Dio in un punto ma che il suo mistero sta nel valorizzare quelli che l’adorano. A noi sembra oggi che lo stesso mistero celebrato consigli di tradurre la presenza reale in un evento discendente poliedrico, che non raggiunge solo la chiesa raccolta ma anche quella “da Abele fino all’ultimo giusto” (LG 2), la chiesa del creato (a cui allude la terra del giardino, l’acqua della fontana, la luce che muta la percezione), e quella che si radunerà nel Regno (Didachè).
L’assemblea andrebbe considerata un polo liturgico; essa ha importanza come soggetto della preghiera e anche come suo oggetto, come quando si dice: “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato… supplico la Beata Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro”. La relazione di Dio con il suo popolo si rispecchia nella pluralità dei luoghi liturgici. Dio è nel cuore dei percorsi umani.

L’altare: un blocco marmoreo leggermente sollevato sulla pedana presbiterale, a sua volta di tre gradini elevata sopra il livello dell’aula. Oltre l’altare, la parete di fondo è aperta da una vetrata continua che dà su un breve spiazzo erboso (“orto degli ulivi”), sulla parete del quale sono affissi i pannelli in vetro serigrafato della Via Caritatis.
Il crocifisso è collocato in alto, sul lato: vi si riconosce un’immagine simile a quella della “Pietà” presente nella cappella.La sistemazione dello spazio liturgico ha influito sulla conformazione architettonica del complesso parrocchiale o questa sarebbe rimasta identica sotto il profilo architettonico, anche qualora l’aula celebrativa fosse stata organizzata a “basilica”?
La disposizione degli spazi liturgici ha influito sulla conformazione dell’interno soprattutto.
L’ampiezza della “chiesa del battesimo” è aumentata a circa 60 mq e il fonte è più consono alla liturgia dei primi secoli: un fonte per l’immersione degli adulti raso terra e a pianta ottagonale, e un fonte dei bambini correlato, con l’acqua corrente.
La progettazione iniziale dei sistemi delle finestre valse i complimenti della commissione giudicatrice della CEI. Oggi il controllo della luce appare ancor più curato: la copertura, in origine era schermata da una trama di grigliato ligneo. Oggi è caratterizzata dal bel velario che favorisce la discesa della luce lungo le pareti ed evoca la tenda dell’esodo. Inoltre ottiene l’impressione visiva della curvatura del muro dell’altare. La luce artificiale è stata riprogettata anch’essa tentando di riprodurre la luce naturale. Non si sono scelti fari particolari per l’altare o l’ambone per non rischiare la deriva scenografica.

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