Claudia Cassatella – Valorizzazione del paesaggio o diffusione dell’impronta urbana?

 

Intendendo il seminario di Camerino come un’occasione di dibattito, non intendo esporre una tesi, bensì un dubbio: ci stiamo occupando troppo di paesaggio? Rischiamo di causare danni proprio quando ci proponiamo di occuparcene?
È opinione di alcuni che gli architetti dovrebbero tornare ad occuparsi di architettura. Le critiche all’ibridazione tra architettura e paesaggismo hanno raggiunto toni feroci (si veda, nel numero di Lotus International ‘Green Metaphor’, l’editoriale di Francesco Repishti).
Anche tra gli urbanisti c’è chi commenta il dilagare dell’attenzione verso il paesaggio come una ‘distrazione’ rispetto agli obiettivi e alle tecniche della disciplina (così ad esempio Luigi Mazza). Intanto, nei paesi anglosassoni, in cui il paesaggismo è professione antica, è esso stesso a cercare di uscire dai confini degli ‘open spaces’ per ibridarsi con le altre discipline della costruzione dell’architettura e della città (cfr. la corrente del Landscape urbanism). In Italia invece, per tanti motivi che è inutile richiamare, la progettazione del paesaggio manca di almeno un secolo di esperienza e sembra vivere adesso una fase di facili entusiasmi. Non molta più fortuna ha avuto finora la pianificazione del paesaggio, tanto che, anche qui, sorge un sospetto: non sarà meglio ripartire dal territorio, da una sana pianificazione territoriale e ambientale?
Per non discutere in termini astratti, accenneremo a piani, progetti e realizzazioni nell’area metropolitana torinese – vicende, beninteso, che presentano molti aspetti positivi, ma che evidenziano anche i limiti delle operazioni svolte nel nome del paesaggio. L’esperienza di maggiori ambizioni è il ‘Progetto Corona Verde. Pianificazione strategica e governance’, che riguarda la pianificazione ambientale e paesaggistica, la tutela delle risorse e la valorizzazione fruitiva degli spazi aperti di un’area che si può far coincidere con l’area metropolitana torinese: novanta Comuni, 25.000 ettari, 11 aree protette, tra le quali il parco del Po torinese, cinque suoi affluenti; un sistema nodale dal punto di vista
delle reti ecologiche, ma che subisce la pressione dell’urbanizzazione.

Intervento di ‘valorizzazione’ della fascia
fluviale del Po: realizzazione di una pista ciclabile sulla sponda destra a Torino

La sponda del Po prima della realizzazione dell’intervento: minore fruibilità, più naturalità

Il territorio è anche un giacimento di patrimonio storico stratificato, di tracciati e di poli che mantengono un significato sia storico sia paesaggistico; basti citare le Residenze Sabaude, dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, che configurano la cosiddetta ‘Corona di delizie’ intorno alla città capitale. Gli obiettivi della Regione sono rafforzare le reti ambientali e le reti culturali, migliorare la fruizione, migliorare il paesaggio.
Il ‘Progetto Corona Verde’ è nato intorno al 2000, con lo slogan ‘Arte e Natura’, su iniziativa del mondo dei parchi e gestito dal Settore Pianificazione Aree Protette della Regione Piemonte. Ha un precedente nel progetto ‘Torino Città d’Acque’ del Comune di Torino, che ha portato alla riqualificazione dei suoi fiumi e alla possibilità di percorrere le sponde con continuità, facendo scoprire ai cittadini l’esistenza di altri corsi d’acqua oltre al Po ed ai suoi Murazzi. Una vera reinvenzione del carattere di ‘città fluviale’, che Torino aveva perso, arrivando persino a tombare tratti della Dora sotto gli stabilimenti industriali.
‘Corona Verde’ ha avuto una prima fase di investimenti legata al Docup 2000-2006, destinati a progetti proposti dai singoli Comuni.
Ne sono risultate numerose realizzazioni, ma ritenute non sufficientemente sistemiche, perciò al Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico di Torino è stato chiesto un piano d’insieme per orientare i finanziamenti 2007-2013. Nella ricerca, coordinata da Roberto Gambino, si è partiti dal ribaltare le rappresentazioni dell’area metropolitana
torinese, colorando i ‘vuoti’, dando classificazione e valore a tutti i frammenti di aree libere all’interno della città continua, rendendo visibili le risorse e il loro ruolo a scala vasta.
Il paesaggio è la dimensione concettuale e operativa che tiene insieme le ambizioni del progetto; sulla base delle identità paesaggistiche, infatti, sono stati disegnati gli ‘ambiti di aggregazione progettuale’. Gli attuali finanziamenti sono quindi erogati a Programmi Territoriali Integrati presentati da gruppi di Comuni, non più a singoli.

La pista asfaltata in mezzo ai campi fa parte della cosiddetta ‘tangenziale verde’ nella periferia nord dell’area metropolitana torinese, un PRUSST con obiettivi ambientali e paesaggistici

Una pista ciclabile nel parco della Mandria, compatibile con i caratteri di ruralità

La ricerca ha anche ind
ividuato una serie di criticità da affrontare con progetti di iniziativa regionale, come, ad esempio, la mitigazione ambientale della tangenziale. I finanziamenti permettono anche di intervenire sul contesto paesaggistico dei beni culturali, com’è avvenuto intorno alla reggia di Venaria Reale, ma l’obiettivo principale è la qualità complessiva del territorio.
I soggetti interessati sono innumerevoli ed il progetto può attuarsi solo nell’ottica di una pianificazione strategica, raccogliendo adesioni, orientando e incentivando. Incontrando gli amministratori di decine di Comuni, abbiamo potuto verificare il desiderio di essere nel gioco. Non è solo il co-finanziamento ad attrarre, come dimostra il fatto che alcuni
hanno agito con risorse proprie, credendo nella visione che ‘Corona Verde’ propone. L’immagine è entrata nell’immaginario collettivo, perciò ha più probabilità di realizzarsi. Questa è una grande lezione, perché, anche se tutti sappiamo che il paesaggio è immagine, pochi sono disposti ad ammettere che, a volte, lavorare sull’immaginario e sulle
rappresentazioni può essere tanto efficace quanto lavorare sulla realtà materiale. Anzi, sul piano della realtà materiale sorge qualche perplessità, alla vista delle realizzazioni, finanziate e progettate con tanta buona volontà ma, talvolta, con poca cognizione della progettazione ambientale e paesaggistica. Troppo spesso, in Italia, ‘valorizzare il paesaggio’ si traduce in ‘costruire’. Ridotte o escluse le azioni di tipo immateriale (come conoscenza, sensibilizzazione, comunicazione riguardo al patrimonio naturale e culturale, cambiamento nelle regole e nelle modalità d’uso dello spazio), gli interventi, quasi inevitabilmente, si traducono in affidamenti di incarichi a progettisti che hanno familiarità
con il mattone ed il cemento, più che con i materiali vegetali e che disegnano piste ciclabili con lo spartitraffico in aperta campagna.

Un altro intervento di ‘valorizzazione’ del paesaggio agrario: area attrezzata lungo la ‘tangenziale verde’

‘Prospettive’ di valorizzazione paesaggistica dell’area metropolitana torinese, schema di sintesi contenuto nello studio ‘Corona Verde’, Regione Piemonte
e Dipartimento Interateneo Territorio

Quello che era verde, dopo la ‘valorizzazione’ non lo è più. C’è insipienza e, a volte, dolo, perché con il cemento si guadagna più che con l’erba.
Allora, ecco il dubbio avanzato in principio: se non siamo pronti per progettare con la natura, forse sarebbe meglio non avere così tante risorse economiche (messe a disposizione dalla politica sull’onda del successo sociale del paesaggio) per mettere panchine in mezzo ai campi e chiamare il tutto ‘parco agricolo’. C’è il rischio che i frammenti di spazio aperto, sfuggiti alla logica urbana, vi vengano assoggettati proprio a causa di progetti come ‘Corona Verde’, anche se in modo
diverso.

CC
Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico e dell’Università di Torino

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