Chiesa e città

I musulmani dovrebbero pregare cinque volte al giorno prostrati nella direzione della Mecca, la quibla, una direzione nelle moschee segnata dalla nicchia del mihrab ma poi evocata da ciascuno, individualmente, nella concreta condizione nella quale l’ora della preghiera lo coglie: sicché possiamo immaginare una sterminata antenna radicata in uno specifico punto della Kaaba e protesa nel cielo a raccogliere le preghiere quotidiane di un miliardo e mezzo di fedeli. 
Sicché poi molti villaggi non possiedono necessariamente una moschea, bastando al più la nicchia di un mihrab a segnare il giusto orientamento, mentre le città più grandi hanno – tra le altre – la moschea del Venerdì, quando tutti i fedeli della comunità religiosa sono radunati per una preghiera comune e per ascoltare la predica dell’imam. 
Per i cattolici Dio è materialmente presente nell’Ostia consacrata, sicché se noi erigessimo un nudo tabernacolo in un terreno qualsiasi e i fedeli vi si raccogliessero intorno, quella è una chiesa, e se ciascuno può raccogliersi a pregare il Signore in ogni momento della propria vita, la comunità ecclesiale andrà riconoscendosi davanti al Tabernacolo. 
Tuttavia i cristiani erigeranno una chiesa, che non è soltanto quello spazio protetto della moschea ma è anche un edificio costruito per rispetto a Nostro Signore, alla sua presenza reale nel Tabernacolo che non vorremmo lasciare all’aperto, e la nostra presenza nella chiesa è la condivisione della Sua casa. Solo che a partire dal Mille la comunità religiosa diventa in Europa anche l’anima politica di una civitas democratica che nella chiesa tiene il suo consiglio civico almeno fino a quando, alla fine del XII secolo, sorgeranno i palazzi municipali con il grande salone dove ospitarlo. 
La democrazia della civitas non consiste tuttavia tanto nel rituale elettorale quanto nel riconoscimento in ogni campo della legittimità del desiderio di tutti i suoi cittadini – quello nella visione di Pietro negli Atti degli Apostoli – che nascono e vivono da eguali su questa terra e non soltanto dopo la morte, e dunque lo spazio della chiesa è uno spazio sacro ma non per questo sottratto alla condivisione quotidiana di ogni attività profana, sicché vi verrà ospitato qualsiasi comportamento: giocolieri acrobati vagabondi, animali e forse, quando una sera pioveva nel sagrato cimiteriale, anche prostitute, in ogni caso frequentissime le bancarelle e tradizionalmente le mescite di vino nella cripta. E per questo, quando nelle città fioriranno le nuove piazze principali davanti al palazzo municipale, subito verranno aperte piazze davanti alle chiese con un loro mercato a far la concorrenza a quello nella piazza principale o talvolta persino alla piazza del mercato cittadino. 
Carlo Borromeo otterrà che il Concilio vieti una volta per tutte queste pratiche profane, ma rimarrà nella tradizione cattolica che non soltanto la chiesa parrocchiale sia corredata dall’abitazione del parroco e nelle cattedrali dalla corte del vescovo e dal seminario, ma anche che mantenga, al netto delle disposizioni conciliari, quell’apertura alla cittadinanza e alla varietà dei suoi desideri che la rende corpo vivo della civitas. 
E infatti non appena, dal Cinquecento in poi, tutti quei liberi comportamenti cittadini affollati un tempo nelle strade nelle piazze nelle chiese verranno progressivamente trasferiti in edifici e in spazi codificati – i teatri, le passeggiate, i musei, i cimiteri, i campi sportivi – contemporaneamente l’edificio della chiesa verrà corredato proprio di quei medesimi spazi, e il loro carattere di socialità cittadina e non soltanto religiosa, sottolineata proprio dalla stessa piazza lì davanti. 
Verranno clamorosamente riutilizzati i grandi chiostri conventuali come piccoli campi di calcio e per ospitare le iniziative milanesi di Floralia in quello di San Marco o la mostra sulle devastazioni di guerra nella navata di Sant’Eustorgio, e anche quei rifugiati d’oltremare che la carità cristiana Nostro Signore non vorrebbe dimenticassimo sono nostri fratelli. 
Sembra tuttavia che questo ruolo sociale della missione ecclesiastica non venga più riconosciuta come un tempo così essenziale, e i programmi delle nuove chiese nei quartieri più recenti ridursi al solo edificio sacro eretto nel deserto, spesso a dimostrare l’apertura della Chiesa al mondo contemporaneo promuovendone l’aspetto architettonico moderno ma dimenticando nel loro programma il  ruolo della chiesa nella civitas: la chiesa non è una moschea o una sinagoga dove i fedeli si riuniscono per pregare e corredata con qualche ambiente per la loro ristretta comunità in partibus infidelium. La chiesa è la sala sacra dei cattolici ma è anche una istituzione aperta a tutti i cittadini della civitas, a qualsiasi religione appartengano: e questo è quanto ci aspettiamo da un complesso religioso, non un edificio nel deserto come questa chiesa di Richard Meyer a Roma.      

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