Chiesa di S. Romano a Roma

Chiesa di S.Romano a Roma

E’ costretto in un lotto dallo sviluppo irregolare, tra emergenze architettoniche inamovibili. Ma al nuovo complesso parrocchiale il disegno di Igino Pineschi ha impresso caratteri decisi e chiaramente caratterizzati. Così le limitazioni si sono trasformate in occasione per definire ambienti che emergono non per dimensioni ma per significato.

Una storia di architettura urbana dei nostri giorni. Il lotto destinato alla costruzione della chiesa di San Romano a Roma, risultava solo parzialmente agibile, essendo in larga misura già occupato da altri edifici, e la porzione libera risultava comunque di forma assai irregolare.Tra le emergenze architettoniche presenti nello spazio destinato alla
chiesa, particolare importanza ha assunto un villino edificato nel 1931 e vincolato dalla Soprintendenza, che rimane prossimo al corpo della chiesa, adibito ad ospitare le opere parrocchiali. In tali condizioni il problema è fare di necessità virtù: trovare soluzioni che possano, sotto il profilo formale, rappresentare con chiarezza il carattere e la destinazione dell’edificio, conferendogli quella dignità che è propria della chiesa; adattarsi al contesto senza che l’immagine dell’edificio di culto ne sia sommersa e, d’altro canto, senza incorrere nell’eccesso opposto, che consiste nella ricerca
di manifestazioni troppo altisonanti. Nel contesto di un intorno urbano dove la presenza di palazzi elevati è prossima e incombente, trovare un giusto equilibrio, che sappia affermare la presenza del luogo eminente per importanza spirituale, diventa assai complicato.

Nelle foto sopra e sotto: il complesso visto dall’alto mostra come il volume della chiesa risalti tra le vicine case;
vista dal sagrato verso il villino del 1930 restaurato. Sezione trasversale della chiesa; sezione longitudinale delle opere parrocchiali (il parcheggio interrato è sotto la sala multifunzionale).

Risulta facile la tentazione del nascondimento, della chiusura, dell’introversione che rifiuta a priori il dialogo con l’esterno. La soluzione architettonica raggiunta da Igino Pineschi si segnala per l’equilibrio ponderato, misurato ma completo, raggiunto nel compaginare tra le necessità di presentare un’architettura dal carattere protettivo, ma allo stesso tempo raccordata con l’intorno e capace di comunicare la propensione all’apertura e al dialogo, che è propria della Chiesa. Il progetto ha dato vita a un complesso che si raccoglie in una dinamica processionale, attorniato da schermature che sottolineano lo stacco rispetto al tumultuoso sommarsi di edifici vicini. Pur con questo sistema di schermature, il complesso risulta aperto verso il quartiere, non serrato, accogliente nel sagrato dominato dall’ampio atrio il cui portale è modellato con una forma che ricorda la “tau”, la croce greca. Si presenta un poco come una “cittadella”, che pur nella sua unitarietà offre molteplici affacci verso il quartiere. Insieme con le sue opere parrocchiali, il complesso, come scrive il progettista, si offre “come rifugio per i non abbienti, come riferimento positivo per i giovani, come luogo di incontro degli anziani e come casa comune dei credenti. E inoltre come dignitosa proposizione edilizia che positivamente possa modificare la vicina parte del paesaggio urbano, piena di forti concentrazioni e micidiali addensamenti umani…”.

Uno spazio processionale
La chiesa si presenta come uno spazio processionale, che dal sagrato si estende attraverso una serie di soglie verso il presbiterio.Tra esse, particolarmente significativa la soglia di entrata. Questa è un grande varco che si apre con forza
geometrica nella superficie in laterizio, definito da inferriate e vetrate. Si presenta come un arco, ampio e luminoso, ma protetto dal muro che definisce i contorni del lotto. Un muro in pietra grigia percorso da fasce orizzontali color terracotta, interrotto da ampie inferriate che per disegno e fattura si ricollegano a quelle che accompagnano le vetrate
della chiesa.

Il campanile
Il campanile è anch’esso un arco: si presenta come un araldo, elemento avanzato allo spigolo del sagrato verso l’incrocio delle strade, di presenza possente nella sua struttura bianca sormontata dall’acciaio del castello. Una presenza che espone le campane quasi porgendole a chi si avvicina: ben visibili, poste a un’altezza relativamente ridotta. Evidentemente non si è ricercato qui il richiamo al campanile storico, inteso a proiettare il suono lontano, bensì si son volute avvicinare le campane al quartiere, alle case, alle strade, alla gente: farne un simbolo di alta significatività, qualcosa che parli non solo con la propria voce sonora, ma anche con la propria muta presenza.

Nelle foto sopra e sotto: il sagrato e la facciata. Il campanile si presenta verso la strada, come un grande portale che segna l’ingresso nello spazio della chiesa. La vetrata trasparente permette
da fuori la percezione dello spazio interno sino alla zona absidale.
Il prospetto frontale evidenzia la relazione tra chiesa, villino e i vicini edifici.

L’effetto nel contesto urbano
Gli edifici abitativi vicini raggiungono l’altezza di 6 – 8 piani, e molte sono le attività commerciali allineate lungo i marciapiedi. Alla chiesa non si poteva chiedere di competere in altezza: quindi né di confliggere, né di porsi in continuità con un tessuto urbano dalle caratteristiche assai estranee a quelle ecclesiastiche. Né alla chiesa spetta di distaccarsi eccessivamente da quanto la attornia. Il volume prescelto, di altezza non eccessiva ma compatto, ricerca anzitutto una forte riconoscibilità, nella forma e nella scelta dei materiali: così il disegno esprime qualità e solidità.
Un tratto caratteristico del profilo esterno del complesso, è costituito dall’alternarsi di momenti di trasparenza e di opacità: di pieni e vuoti, di luoghi attraverso i quali le persone o la luce possono passare, intercalati da muri opachi e impenetrabili. In questo modo si raggiunge una forte definizione spaziale, ma allo stesso tempo si comunica un messaggio di disponibilità e di accoglienza. Nel lotto articolato in modo così inconsueto posto a disposizione della parrocchia, ai lati del volume centrale della chiesa, si raccolgono porzioni di spazio aperto: non solo il sagrato di fronte all’ingresso principale,ma ai lati e sul retro si aprono, su diverse quote, raccordati da camminamenti e passaggi, altre
piazzole qui e là piantumate.

Chiesa di S. Romano a Roma

Progetto architettonico: Prof. Arch. Igino Pineschi con Arch. Francesca De Pascale,
Arch. Giovanni Pineschi, Roma
Progetto strutture: Ing. Antonio Michetti, Roma
Copertura in rame: Ondulit Italiana, Roma
Strutture lamellari: Canducci Holzservice, Pesaro
Campane: Pontificia Fonderia Marinelli, Agnone (Isernia)
Banchi e opere in legno: CBM,Treviso
Foto: Roberto Carotenuto

Così che la presenza delle piante costituisce uno degli elementi di continuità e di raccordo tra le parti che compongono il complesso, come anche un segno di distinzione rispetto all’immediato intorno urbano. In particolare il fronte del villino della prima metà del secolo scorso è quasi totalmente attorniato dalle piante, elementi di mediazione con il resto del complesso. Così l’architettura vive di un gioco continuo di inclusione ed esclusione, di raccordo e di separazione. Qualcosa che consente di tenere una decisa caratterizzazione ed evita di scadere all’omologazione o nella sottomissione e nel nascondimento. Tra gli elementi di marcata riconoscibilità, l’omogeneità dei materiali di rivestimento. Laterizio per le pareti, la pietra per il muretto, l’acciaio brunito per le inferriate. Tutto comunica solidità. Il sistema di schermature e il distendersi del complesso in senso longitudinale, fanno di questo edificio un luogo di percorsi. Questa peculiarità è stata sfruttata al meglio dal progettista: tra le pareti si insinuano camminamenti e scale che s’inoltrano verso spazi ulteriori. Dietro la chiesa, il corpo delle opere parrocchiali è affiancato da aiuole e abbraccia un patio. La chiesa si raccorda al villino degli anni Trenta grazie al dilatarsi della cappella laterale e, tra i due corpi, a cerniera è posto un portale con atrio e scale.

L’articolazione del complesso
Il complesso parrocchiale si snoda come un succedersi di ambienti raccordati, come tappe di un percorso articolato che si dispiega e si rivela per gradi. Nato compresso negli spazi lasciati dalle propaggini urbane che avanzano, il nuovo complesso si appropria di quegli ambiti, quelle fessure libere tra gli edifici preesistenti e, con la stessa forza di un germoglio che pone radici nelle crepe dell’asfalto, cresce e si dilata con impulso inarrestabile, sino a sovrapporsi a
quanto prima sembrava soffocarlo.

Nelle foto sopra e sotto: lo snodo tra il fronte della chiesa e il villino preesistente, riusato per le abitazioni dei sacerdoti e gli uffici; vista laterale verso la strada. Sezione longitudinale del complesso; nella parte destra il corpo della chiesa; nella parte sinistra le opere parrocchiali, su due livelli sopra il garage.

Un segno di distinzione
Il lungo corpo della chiesa, insinuatosi in uno spazio che appariva di risulta, grazie alla sua presenza solida e autorevole, ricca di riferimenti e di carattere, diventa il luogo privilegiato che accentra in sé energie che sembravano inesistenti. Come il germoglio che con la sua pur piccola fogliolina verde porta una nota di colore nel grigiore della strada, così la chiesa di S. Romano ravviva, con la sua presenza aperta e disponibile, un brano di città che di per sé sembrerebbe condannato all’anonimato.

L’impianto della chiesa
L’impianto della chiesa è a sviluppo longitudinale: l’aula in pianta si riconosce come un esagono allungato. La ridotta dimensione trasversale ha comportato la scelta di un organismo unico, senza sostegni intermedi, quali i colonnati che definiscono gli spazi della navata principale e di quelle secondarie nelle chiese storiche. L’unitarietà si esplica strutturalmente grazie alle due travi principali che abbracciano longitudinalmente tutta l’aula, dalla zona dell’ingresso
al presbiterio, senza sostegni intermedi. Una struttura reticolare sostiene la copertura, che non poggia quindi sulle due travi ma giace su un piano che corre al di sopra di esse. Lungo il fianco destro si allineano cappella feriale e
penitenzierie. I volumi che ospitano questi luoghi sono percepibili esternamente. Sul lato sinistro, a fianco della zona presbiteriale, è ubicato il battistero, visibile già da chi entra dell’accesso principale. Superata la soglia, si è invasi da una luce nuova. Il corpo della chiesa, che fuori appariva relativamente misurato in altezza, all’interno rivela una dimensione nuova. Questa percezione è effetto sia dell’elaborazione della luce, sia dell’
ampiezza dello spazio libero.

Vista interna dell’aula verso l’entrata. La cappella eucaristica, a destra dell’ingresso dell’aula.
Interno dell’aula, vista verso il presbiterio.

Lo spazio della celebrazione
Le travature, che consentono l’assenza di colonnati, inquadrano il soffitto ligneo a due falde. Si avverte una proiezione duplice: verso l’alto e verso l’altare. Lo spazio, che all’esterno appare variamente articolato, all’interno è convogliato in una precisa direzionalità, e subisce una marcata accelerazione; esso si sviluppa nell’assialità, nella sapiente gradazione delle aperture che lasciano luce in abbondanza sul presbiterio, mentre altre finestre occhieggiano più discrete, seminascoste dal gioco di setti e pareti. La possente, lunga travatura quadrangolare, si presenta con aerea leggiadria: sintesi di sapienza ingegneristica ed architettonica. In essa prevale la dimensione verticale e così appare come una serie di setti abilmente disposti: come un velabro che in alto funge da schermo alla luce, e da cornice che inquadra la sottostante assemblea. Sulla pavimentazione, il succedersi di riquadri marmorei riprende lo stesso disegno, alternando rettangoli e quadrati, per accompagnare il cammino verso l’altare.

(L.Servadio)

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