C’era una volta Luigi Vietti

tratte dal libro I camini di Vietti, DIBAIO EDITORE

Nato a Cannobio e diventato architetto tra Milano e Roma, fin da studente amava frequentare il bel mondo. Non gli riusciva difficile:
gli amici del tempo lo descrivono come un bel ragazzo, elegante, ottimo conversatore, dotato di un naturale fascino sulle donne. Così negli anni ‘30 Vietti iniziò ad andare a Cortina, che per l’allegra brigata dei suoi amici era l’appuntamento irrinunciabile di ogni inverno. A quel tempo la perla delle Dolomiti era in una condizione
ambientale diversa da oggi: uno scenario naturale tutto prati e boschi, con un piccolo paese e rare costruzioni soprattutto in legno abitate ancora da contadini. Di moderno c’erano due grandi alberghi d’inizio ‘900 e poco altro. In quel tempo Vietti era impegnato a Roma in una cordata di architetti razionalisti che volevano dare un volto umano
allo stile “littorio” dell’EUR, e contemporaneamente progettava un piano ambientale in Liguria. Allora non fece nulla per Cortina, ma ne assorbì profondamente l’atmosfera e quando negli anni ‘40 si presentò un’occasione d’acquisto
favorevole (c’era un vecchio “tabià” costruito su terreno argilloso che stava paurosamente scivolando verso valle) lo fece suo e lo salvò riuscendo ad ancorarlo alla roccia: quella fu la sua prima autentica interpretazione di una casa cortinese “secondo Vietti”. Era un’occasione unica, un intervento fatto in proprio senza dover mediare
con le esigenze della committenza; ne uscì fuori un capolavoro. Ecco a questo proposito quanto mi disse in un’intervista del 1986 comparsa su “Casa Oggi”.

Bisogna anzitutto “sentire” la montagna, immedesimarsi in quella natura, apprezzarne l’aria, capire i suoi paesaggi.
Ci sono diversi tipi di montagne, ce n’è una allegra che è quella delle Dolomiti e ce n’è una severa che è quella
piemontese, altre sono coronate di pascoli e altre ancora con aspetti rupestri e romantici. Vi sono poi zone
d’alta montagna, fatte solo di cielo, neve e roccia, che hanno panorami assoluti di grande purezza.
Ma parliamo delle Dolomiti, che sono quelle che conosco meglio. Girare attraverso le sue foreste in primavera
quando i larici si rivestono con le loro piume di un verde tenero, oppure in autunno quando diventano rossi, è una cosa meravigliosa, bucolica, vicina all’atmosfera della mitologia classica. Vicino a Cortina c’è una zona che si chiama “la porta del dio silvano”: più che grotte sono strapiombi di rocce che scendono formando una specie di portale con intorno un’eco dalle misteriose risonanze. D’inverno in questi posti c’è la silenziosa presenza della neve con le sue straordinarie architetture di ghiaccio, dove le ombre diventate celesti sfumano nell’azzurro intenso del cielo, e i laghetti alternano il turchese al lapislazzulo. Quando un architetto vuole fare una casa in questa natura, deve
tenerne assolutamente conto e sperare che l’inserimento della costruzione nell’ambiente sia il meno stridente possibile.

In concreto, che caratteristiche dovrebbe avere una costruzione residenziale sulle Dolomiti?
Vorrei mettere a confronto la situazione di Cortina e quella di Sestrière o di San Sicario, che stanno nella Valle della
Luna sotto montagne terribili, tristi e violente.
In quella zona del Piemonte io farei delle costruzioni dure, in pietra squadrata, molto simili alle fortificazioni che lì sono di casa per ragioni storiche.
A Cortina, che è sempre aperta e ridente, seguirei invece l’esempio delle case tradizionali tirolesi, costruite metà in muratura intonacata e metà in legno, cercando di farle molto aeree, con una bella vista e il sole presente all’interno. Poi la si può studiare a misura delle persone: piccola se la vogliono piccola, grande se la vogliono grande, estroversa se sono estroversi e severa se sono severi. Non è bene fare delle case prêt-à-porter, ma solo su misura come la haute couture. Ci devono essere tra una casa e l’altra evidenti differenze di carattere, di sentimento, di pensiero.

I Camini dell’architetto Vietti
È questo un libro interamente dedicato ai camini che l’architetto Luigi Vietti ha realizzato nelle sue più belle ville in montagna, al mare ed in campagna.
Molti di questi camini, presentati con foto a colori e disegni dell’architetto, si trovano proprio a Cortina. Camini, come ha detto nella presentazione l’architetto Gjlla Giani, sempre nati con l’ambiente stesso che li ospita, con soluzioni sempre nuove e sempre diverse, ma soprattutto pensati e realizzati con quell’amore artigianale per l’accuratezza del dettaglio e con quell’entusiasmo che caratterizza tutto l’operare di quest’uomo d’eccezione.

Se il committente è lei stesso, si fa un autoritratto?
Pensando proprio a questo, quando è arrivato il momento di farmi una casa a Cortina mi sono vestito di modestia e ho deciso di non costruirne una nuova per me, ma di riadattarne una vecchia costruita da altri. Dopo aver visto e studiato tante case antiche della zona, ero curioso di vedere come mi sarei adattato a quelle strutture pensate per la vita dei contadini.
C’era un antico tabià che risaliva al ‘600, veramente splendido, e avrei fatto qualsiasi cosa per renderlo abitabile. La sola idea di poterne prendere possesso e di abitarlo mi esaltava.
Poi l’ha anche arredato, devo dire con un senso del magico molto raro nell’architettura d’interni.
Mi fa piacere sentirglielo dire perché è quello che ho cercato di ottenere. Ci sono bellissime favole della zona dolomitica, riportate nel libro “I monti pallidi”, dove la realtà locale viene continuamente trasfigurata in fenomeni
magici. Ad esempio, per la nascita della neve racconta: d’inverno gli gnomi erano disoccupati perché nel bosco non c’era più niente da raccogliere, allora pensarono di filare i raggi della luna e… fila tu che filoio, l’indomani tutte le montagne avevano una coperta bianca luminosa come la luna. L’interno della mia casa di Cortina è impostato sull’alternarsi di parti chiare e parti scure dove ci sono presenze inaspettate, oggetti evocativi che affondano nell’ombra.
E l’ombra è già un po’ mistero. Come quando si percorre un bosco pieno di creature nascoste o si entra in un anfratto dove la luce trasfigura la roccia.
Pensai che tutto questo dovesse essere realizzato con molta semplicità. Come quando il contadino per dormire prendeva un grosso sacco e lo riempiva di foglie, così io, per avere un divano, ho messo molte piume in
un saccone e l’ho ricoperto con una stoffa color polenta a trama grossa.

 

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