Centro parrocchiale di San Barnaba a Perugia

Frutto di una stretta collaborazione tra i progettisti, il committente e gli artisti, questa chiesa nasce come uno scrigno di opere artistiche la cui architettura insiste sull’alterità del luogo di culto a fronte delle altre funzioni urbane.

“Tale è una chiesa, cioè l’edificio destinato ad accogliere l’assemblea dei credenti per le celebrazioni religiose. Penso subito alle tende dei popoli nomadi innalzate sul ciglio delle vie carovaniere, sempre aperte e disponibili per tutti coloro che ne hanno bisogno….” sono le parole dell’Arcivescovo di Perugia, S.E.R. Mons. Giuseppe Chiaretti, alla consacrazione di questa nuova chiesa. Una chiesa nuova, ma con una lunga storia alle spalle: fin dal 1931 si programmava la sua costruzione, quando il terreno su cui sorge venne donato dal Sovrano Ordine di Malta. Sopraggiunsero gli anni difficili, la guerra, il cambio dei parroci, la costruzione di un salone comunitario nei primi anni Cinquanta… Bisognerà attendere il nuovo parroco, Don Nello Palloni, che ha mano di artista, perché la chiesa veda finalmente la luce e sia consacrata alla fine degli anni Novanta.

C’è chi ha definito le parrocchie come delle “stazioni di servizio”: per la comunità, per i giovani, per la formazione così come per il culto comunitario. Vedere questa chiesa sul terrazzamento lungo il pendio del colle e subito sotto la stazione di rifornimento di benzina fa venire alla mente questo accostamento. La vendita del terreno per la costruzione della stazione di rifornimento è quel che ha dato alla parrocchia il denaro per l’edificazione della chiesa. Così il sacro e il profano si accostano e sembrano manifestare una reciproca necessità. Ma la vicinanza del luogo della utilità più comune, le pompe della benzina, simbolo della nostra epoca vissuta sull’automobile e in generale sui trasporti, forse determina in parte non indifferente le linee di questa chiesa che sembra cercare di unire in sé le caratteristiche del “tempio” (chiuso, definito, separato) con quelle della “chiesa”: aperta, eloquente, accogliente. È una architettura meritevole di attenzione per il fondersi in essa di tanti elementi, di tante suggestioni.
L’immagine della tenda è richiamata dalla copertura a capriata che si innalza al di sopra del tetto per presentare la caratteristica vetrata triangolare. La vetrata è dominata da un’intelaiatura a croce la cui presenza si indovina nell’ombra che proietta all’interno, ma soprattutto si vede all’esterno, quando nella notte si mostra illuminata al circondario. Le pareti della chiesa, disposte approssimatamente in forma di ottagono, conferiscono all’edificio un poco il senso dell’apparato di difesa, di luogo protetto. Ma il manto esterno in mattoni le ricollega cromaticamente alle case circostanti: la chiesa si pone in colloquio con esse senza volerle sopravanzare in altezza. Se il triangolo della “tenda” superiore accenna a un canto di lode vissuta nei caldi colori della vetrata, la parte architettonicamente più rilevante è il nartece. Un elemento squadrato che avanza verso il vialetto di accesso e al suo interno rivela un incavo a sfera, intagliato a sezioni orizzontali nel cemento, così da presentare una superficie vibrante, calda, attraente, invitante. L’immagine della sfera è segno di completezza, di perfezione, ma anche di accoglienza. La forma dell’edificio appare riassumersi e trovare un senso proprio lì, nel portale: tutto il resto sembra diventare appendice di quel gesto che dice accoglienza e protezione, ma anche apertura e invito.
L’arco romanico che definisce il fronte si ricollega alla storia della nostra architettura e ne ritrova la freschezza, la semplicità e la familiarità. L’immagine del cerchio verrà ripresa anche all’interno come tema ricorrente. La ritroviamo nel raccordo tra gradini del presbiterio e spazio dell’assemblea: una pedana circolare si inoltra nei due spazi e diviene centro di mediazione, luogo di equilibrio. Il cerchio è un elemento simbolico che conchiude lo spazio ma allo stesso tempo gli conferisce il sapore della completezza. L’aula si dispone a ventaglio, con linee di forza che convergono sull’altare. I banchi sono collocati in quella direzione, così come le forti travature della copertura. L’altare così assume i connotati di punto di origine dello spazio. I giochi di luce che la vetrata, invisibile dall’assemblea, proietta sulla parete absidale, accentuano la preminenza dell’altare e sembrano sollevare il crocifisso in uno spazio etereo. Si tratta di un crocifisso artistico, intagliato in legno di tiglio, opera scultorea di Giovanni Dragoni. Sullo sfondo della croce si apre, anche qui, l’immagine del cerchio: un richiamo all’ostia consacrata, ma più in generale ancora la forza del simbolo della completezza, della perfezione. E il Cristo, che pende reclinando il capo dalla croce, riesce a riassumere in sé i due passaggi della morte e della Risurrezione: le braccia tese qui indicano anche la verticalità dell’ascesa al Padre. Due grandi mosaici completano il presbiterio, affiancando la sede dei celebranti presentandosi quasi come quinte che inquadrano l’altare nel mezzo: sono opera dello stesso Parroco, Don Nello Palloni. Nella parte bassa recano anch’essi il segno del cerchio: grande anello bianco che da destra e da sinistra raggiunge l’altezza della mensa e accenna a completarne il profilo presentando l’immagine di una tavola imbandita, col pane e col vino. Ma tali elementi si dilatano nelle immagini del grano e dell’uva, da cui derivano dalla terra, mentre in alto si ricollegano alla luce che promana da Cristo e che si riflette anche negli arcobaleni che chiudono i mosaici alle estremità laterali. Sono simboli giocati con abilità entro lo spazio architettonico. Così altare, crocifisso, mosaici, conformano la totalità del presbiterio che, pur composito, trova una unità espressiva di evidente comunicatività. Anche nel tabernacolo, collocato sulla destra del presbiterio, si ritrova il simbolo del cerchio: un tondo bronzeo con un bassorilievo del Dragoni che raffigura Gesù nel momento dell’Eucaristia. Sopra il tabernacolo un’altra vetrata, opera di Palloni, rappresenta ali di angeli in progressione discendente che accompagnano il “pane vivo disceso dal cielo”. Mentre accanto al tabernacolo un altro tondo raffigura un angelo in adorazione. Altre vetrate dominano lo spazio del battistero e dei confessionali e presentano movimenti di onde e petali astratti nella loro purezza segnica che in armonica sequenza di aprono e si innalzano, si rovesciano e danzano quasi a rivelare alcunché di nascosto. È questa una chiesa che acquista forza nella completezza accuratadelle sue finiture artistiche e nella coerenza della disposizione delle medesime entro lo spazio architettonico. Il colore, grazie alle numerose vetrate, ai cromatismi dei marmi e dei mosaici, diventa in sé elemento dominante nella scena interna e fornisce una particolare vivacità all’ambiente, pur entro un’atmosfera raccolta e semplice. Ogni particolare è curato. Si pensi all’acquasantiera, opera di Sandro Scargetta: tre elementi ricurvi che reggono due mensole con i catini a diversi livelli, così che anche i bambini possano attingervi senza sforzo. Nella cura del dettaglio si rivela molto dell’animo di un edificio. Altro particolare: la Via Lucis, 14 bassorilievi che raccontano gli eventi dei 50 giorni intercorsi tra la Risurrezione e la discesa dello Spirito Santo. La Via Lucis, continuazione della Via Crucis, è intesa come invito all’annuncio glorioso e gioioso della Risurrezione. Sono esempi che sottolineano come la chiesa sia anche, e soprattutto, la comunità che, operando, definisce il proprio spazio.

L’architettura in sé difficilmente riesce a definire nella sua totalità lo spazio della celebrazione. Questo vive anche della tensione che deriva sia dalla disposizione dei poli liturgici, sia dal vestito artistico che lo ammanta riscoprendo significati, simboli, suggestioni. La coerenza tra arte e architettura in sé è rivelatrice di armonia e quindi evocatrice di un messaggio che diventa aspetto caratterizzante dello spazio di culto. Il motivo del ‘tondo’ in questa chiesa si pone quale strumento di forte comunicazione e di collegamento tra i diversi momenti liturgici e le diverse presenze artistiche.

 

La vista frontale sul presbiterio mette in rilievo il gioco di luci,
colori e ombre proiettato dalla vetrata
Il complesso rustico in inverno
Veduta aerea del complesso La costruzione ultimata Il crocifisso, opera in legno di tiglio

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)