Celebrare con la luce

Cos’è la luce? Dipende. Già S. Agostino, parlando del tempo, intuì la relatività di cer ti concetti ‘assoluti’, quali il tempo, che tutti conosciamo finché nessuno ci chiede cos’è, ma che tutti ignoriamo se qualcuno ce ne domanda l’essenza o la natura profonda. Cos’è la luce per un cieco nato? Egli sente parlarne ma non può neppure immaginarla. Egli vive da straniero in un mondo costruito in funzione della luce e del vedere. Per lui la luce sarà piuttosto il miraggio della terra promessa, desiderata e impossibile, misteriosa e arcana. E cos’è per uno che ci vedeva e poi non vede più? Un rimpianto, un esilio, un fiume di Babilonia dove gli esuli appendono le loro cetre ai rami dei grandi alberi, sognando le rive del piccolo sacro Giordano e le diroccate torri di Gerusalemme. Altra cosa ancora è la luce per un ciecuziente che vive nella paura di perdere il supremo dono della luce. Un’ansia, un’angoscia, una speranza, una supplica. Ma per coloro che ne hanno la pienezza del dono, la luce è gaudio, felicità, bellezza, possibilità di agire, capacità di valutare, misurare, calcolare, decidere, riflesso della potenza e della perfezione di Dio, prima opera della sua creazione a dare ordine al caos. Fu infatti solo al termine del primo giorno, dopo aver ‘visto’ l’esito della sua fatica che Dio poté dare il suo giudizio su quanto aveva fatto: e vide che era cosa buona.

Prof Don A. Santantoni

In sé la luce è metafora di bellezza, nel racconto biblico è materia del primo atto della creazione. Nella sua realtà fisica essa viene esaminata ed elaborata in modo tale da adeguarsi alle funzioni spaziali.
In questo senso fondamentale è lo studio della luce per il progetto delle chiese. Ma solo nella poesia si ravvisa il significato vero della luce, che la rende capace di preghiera.

 

Ma la luce non soppresse le tenebre, solo gli si contrappose. Provvidenzialmente, sapientemente, Colui che aveva creato la luce, volle anche mantenere le tenebre. Queste rimasero nel mondo a regolare la luce, a segnarle dei limiti, a offrire alle creature possibilità altrimenti impensabili: il ciclo giorno/notte, il sonno che ristora, la frescura che salva dal calore spesso impietoso del giorno e dall’aridità, l’intimità dell’amore, il silenzio, la pace. Ma come ogni cosa creata, la luce e le tenebre presentano elementi positivi e negativi. La luce, normalmente fonte di consolazione e di gioia, se troppo violenta, brucia, dissecca, inaridisce le cose fino a ucciderle e a distruggerle. Allo stesso modo le tenebre, condizione benedetta per il riposo e il silenzio interiore, possono trasformarsi con i loro fantasmi e i loro terrori notturni in una invincibile sorgente d’angoscia e di disperazione. Nel bene e nel male la luce e la sua privazione possono assurgere a simbolo del potere di Dio creatore e giudice. E l’uomo si scopre una fragile piccola creatura mortale. Questa simbiosi strettissima tra la creatura umana e la luce/tenebre è fonte dei significati più diversi e contraddittori nella simbologia della luce, e quando l’uomo ha voluto dare espressione al proprio mondo interiore, egli ha trovato nella luce la più ricca, duttile e sensibile miniera di metafore e di simboli.

Roma, Basilica di San Clemente. Ipotesi per il progetto dell’illuminazione artificiale durante la liturgia eucaristica. (Dal volume: “Celebrare con la luce” di E. Bettinelli, G. Della Longa, S. Maggiani, A. Santantoni – Milano, 2002).

Non basta certo lo spazio di questa stanza per elencare e descrivere la ricchissima ‘tavolozza’ di immagini e simboli ispirati dalla luce ai poeti e agli artisti: pura, pia, divina, eterna, somma, spirituale, sensibile, vaga, chiara, alma, altera, desiata, candida, vermiglia, semplice, sincera, tranquilla, magnetica, suprema, soprannaturale, fatale, deliziosa, vaporosa, dolce, pallida, fioca, velata, ospitale, casta. Ma la luce ha anche un contrario la cui percezione può evocare sentimenti angosciosi di paura, separazione e di morte. Essa diventa allora ottenebrata, oscura, dispietata, mala, orribile, orrida, infausta, incerta e scolorita e mesta, torbida, soverchia, moribonda, amara, fuggente, dubbia, furtiva, ferrugigna, maledetta, arrabbiata, selvaggia, sinistra, tetra, fosca, dubbia, funerea. Da che dipende una tale diversità di lettura del medesimo fenomeno fisico per sé stesso neutrale? È un fatto tutto interiore, una dimensione dello spirito, mutevole e cangiante come gli stati d’animo e gli eventi che li determinano. L’aggettivazione si esalta così nella metafora di cui essa stessa è l’espressione e la resa letteraria. La luce, dona naturalmente gioia e diletto. Ma, come la vita, è mutevole e alterna, felice o triste, ricca di promesse o disperata. Tradotta in lux o watt la luce è una realtà fisica oggettiva; filtrata attraverso l’anima umana essa può cambiare completamente di senso e di valore. E la penombra delle celle che per la manzoniana Monaca di Monza era un peso intollerabile; sotto la penna di Tommaso Campanella diventa però una realtà capace di trasfigurare la materia più opaca: “O sante celle, murate di luce”. Come i poeti e gli artisti, così i profeti, i salmi, i libri sapienziali e poi i Vangeli l’Apocalisse e tutto il Nuovo Testamento fanno ricorso assai più spesso alla metafora che alla speculazione, in una fioritura d’immagini e di simboli a volte delicati e gentili, a volte aspri e sgradevoli, altre volte violenti, ma sempre ricchi di mistero. Cosa resterebbe del prologo di Giovanni se gli si togliesse tutta la grande teologia della luce vera che illumina ogni uomo? E quante pagine tra le più luminose (ecco che ci sono caduto anche io!) del suo Vangelo diventerebbero cieche e mute e sorde (si pensi a quella del cieco nato) se non più per metafora ma per concetti vi si parlasse!

Roma, Basilica di San Clemente. Grafici del progetto illuminotecnico.
(Dal volume: “Celebrare con la luce”).

E che ne sarebbe dell’Apocalisse e delle sue sublimi visioni cariche di mistero? Tutto ciò ho cercato di dirlo in un contributo per un libro che promette di riscuotere grande interesse tra gli architetti e gli illuminotecnici. Presentato a Roma in un convegno alla basilica di San Clemente, seguito dalla partecipazione attenta degli addetti ai lavori, il volume Celebrare con la luce (già il titolo lo lascia intendere) parte dalla convinzione che in liturgia la luce non è e non dovrebbe mai essere vista come una semplice funzione tecnica a servizio dell’azione sacra. In altre parole, la luce non può servire solo “a vederci” o a “far vedere” meglio l’azione liturgica, ma è parte integrante della stessa celebrazione. E come per “vederci” è necessario che vi sia una certa quantità di potenza impegnata, così è necessario dare a questa luce un’anima perché sappia interpretare il mistero dell’azione sacra per renderne partecipe al meglio l’assemblea. I contributi offerti dal testo si presentano come un “quid novum” nella panoramica editoriale di settore. Meticoloso e puntuale, il testo sviluppa l’incontro tra luogo – azione – luce, non dimenticando, quando se ne presenta la necessità, l’attore liturgico (celebrante e ministri diversi, diacono, lettori ecc.). I professionisti delle diverse discipline vi troveranno certamente una miniera d’informazioni preziose e rare per la migliore assoluzione del loro compito. Ma con un limite, sembra a me. Queste indicazioni hanno un valore oggettivo che non basta a garantire da solo un’anima alla luce. Questa può venirle solo dalla poesia. È quello che ho cercato (e trovato) nei testi letterari e scritturistici della tradizione e che opportunamente funge da introduzione all’intera opera: come dare un’anima poetica alla parola per tradurre in metafora il freddo concetto. Più facile e ricca ne scaturirà la preghiera.
Prof. Don Antonio Santantoni

 

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