BIOFLUIDITÀ E MINIMALISMO


Villa sulle colline di Barcellona. Progetto di Erik Morvan, architetto.

Nel sobborgo barcellonese di Sant Andreu de Llavaneres, la villa sulla collina è come un arcipelago con pareti bianche che si alzano come foglie e parti nere che occhieggiano: è la logica yin – yang.

Progetto di Erik Morvan, architetto
Servizio di Montse Figueras
Testo di Leonardo Servadio
Foto di Emilio Rodriguez Ferrer

È un’architettura pensata col vento e col sole, aperta alla natura, tranquilla nel suo respiro luminoso. La zona della “grande Barcellona” si estende su colline che degradano verso il mare: qui c’è la casa di Sabine e Erik Morvan, lei artista e lui architetto, entrambi francesi, uno spazio intimo e complesso in cui singolarità e molteplicità si incontrano in un ampio giro di valzer. Avvolto dentro pareti bianche che si aprono verso il cielo, come corolle che sbocciano sbucando dalla terra, l’edificio perde la sua corposità modulandosi in volute che formano abbracci e si dilatano in squarci. Qua e là spuntano altre strutture di colore nero alternando spigoli alle sinuosità: è la logica orientale dello “yin” e yang”, la tensione tra gli opposti che si placa nella luce, ispirata ai principi Zen. “Una casa ergonomica che vive col tempo e respira nel clima. Vicina alla natura, dentro la natura.” dice Erik Morvan, che con Sabine ha concepito l’edificio in modo da assolvere a tante funzioni, diverse ma unite. Studio di architettura ma anche studio d’arte, separato e vicino, e luogo di vita. “Penso che lo spazio abitato debba avere soffitti di almeno 3,20 metri – spiega Erik Morvan – ma qui l’altezza è di 3,50 e arriva a 4 metri negli studi”. Perché lo spazio è libertà, non definizione;
luogo del possibile, non ambiente di costrizione. Al punto che la differenza tra esterno e interno tende a svanire: più che finestre, vi sono vetrate a scomparsa totale. Così, non si può parlare di corrispondenza o di scambio tra dentro e fuori, ma di mutua contaminazione. In un concetto nuovo dove l’architettura protegge senza generare alcuna esclusione. Il cielo entra anche dai lucernari, come quello che sormonta la hall-galleria d’arte in cui si sviluppa la scala interna. E i muri si smaterializzano nella fluidità del movimento. Nascono prospettive sempre nuove: la casa non si
inserisce nella natura, ma la interpreta secondo gesti di accoglienza. I due balconi affiancati sormontano ciascuno uno dei due studi: servono da schermature solari. La climatizzazione è quella naturale: poiché gli infissi sono scorrevoli, d’estate l’ombreggiatura e la totale apertura garantiscono una ventilazione che mantiene la temperatura interna sempre gradevole senza far uso di strumenti energivori. E il concetto di giardino Zen fa sì che l’edificio si perda nella natura e rinasca come vegetale. La piscina è distante ma unita: un canale porta la sua acqua fin entro le pareti. Sono due i livelli che guardano il mare, a sud; e uno verso il monte dove il garage è interrato. I luoghi, gli ambienti, gli spazi risultano concatenati ma individualizzati: aperti all’interpretazione del momento. Consentono di isolarsi, ma anche di ritrovarsi. Di unirsi e di separarsi. Non c’è vista frontale, ma scorcio cangiante. Non è solo un luogo per l’arte, ma anche un’opera da far vibrare, secondo le proprie corde. Poiché la forma sfugge, è un ambiente in cui abita il mistero e, come dice l’architetto, “ogni mistero ha la sua sensazione e la sua interpretazione come la musica, in cui ognuno può riflettere il proprio animo.”

L’entrata. La casa si presenta subito come ostello d’arte: pareti ricurve e aperte in alto, fessure, modulazioni, accenni di movimento. E la scultura “Chloe” di Sabine Morvan.

Un’architettura in divenire, un luogo che rappresenta sè stesso sullo sfondo del Mediterraneo oltre il prato, di scorcio, inquadrato dal pino marittimo e dai cespugli. Nel racconto che si dipana, l’architettura si fa natura, e questa si manifesta come arte, in feconda contaminazione. Un giardino abitato, una casa per meditare. Pavimenti e prato si confondono. Al livello superiore si alzano i luoghi di lavoro. Al livello più basso, con la vetrata verso mezzogiorno, la camera da letto dei proprietari è come un grande balcone. Le opere d’arte designano luoghi di un percorso familiare
(anche l’architetto è un artista, come lo era la madre di Sabine).

Le aperture sono tutte arretrate, così da risultare schermate. Pareti – finestre scorrevoli a scomparsa possono togliere ogni filtro tra esterno e interno. Il soggiorno è un belvedere che diventa terrazza aperta verso il prato e il panorama marino.
Il fianco sud: in basso gli ambienti per la vita, in alto quelli del lavoro. Si nota il cipresso abbracciato dalla parete bianca ad ansa.
Le pareti bianche del piano inferiore, dedicato alla zona notte, hanno aperture asimmetriche che le fanno apparire come un leggero gioco di origami.
Le piante tropicali invadono anche gli interni spesso luminosi come serre.

QUALITÀ DELL’INTERVENTO

Centralità del progetto: armonizzare tre finalità diverse: studio di architettura, laboratorio (uno di pittura, uno di scultura), abitazione.
Innovazione: porte finestre protette da schermature e totalmente apribli per creare continuità col prato e consentire il controllo climatico naturale; rapportototale con la natura, così le pareti non sono separazione ma tramite di continuità.
U
so dei materiali:
calcestruzzo (in bianco e nero), cristalli, pavimenti in gres nero e legno.
Nuove tecnologie: l’acqua usata come elemento architettonico primario (canale, fontana).

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SABINE E ERIK MORVAN, scultrice e architetto
Sabine Morvan-Bindschedler, nata in Marocco, ha compiuto qui le prime esperienze artistiche.
A Parigi è stata assistente di R. Guiraud. Ha esposto a Parigi, New York, Beirut, in Svizzera e Spagna. Tensione e tenerezza, contatto con la terra: queste le sue modalità espressive.
Erik Morvan ha studiato a Parigi, prima architettura d’interni quindi progetto architettonico.
Ha due studi: a Parigi e Barcellona; lavora oltre che in Europa anche in Estremo Oriente, prestando particolare attenzione al rapporto progetto/ ambiente. È anche pittore.

I bagni ampi e ariosi sono abitati da elementi che richiamano volutamente il passato.
Gli ambienti scorrono fluidi, avvolti da pareti sinuose. La hall, snodo centrale, ha un lucernario conformato come l’apertura della scala, ma è anche luogo espositivo. Nel progetto si è tenuto conto della stratificazione di culture storiche, con richiami “mudejar”. I disimpegni sono “luoghi d’arte.”

La camera da letto padronale: nel candore delle superfici si riconosce uno spazio che libera la fantasia. La parete Sud scompare totalmente e i tendaggi leggeri ed evanescenti segnano il passaggio del vento tra le stanze e sostituiscono le porte.

In Edicola

Pianta piano inferiore
 

Così, nel fluire della luce la casa – atelier è anche una galleria in cui pubblico e privato più che confondersi si fondono.
Una casa da vivere in una continua esplosione di gioia e in cui ogni giorno sorprende con luce nuova. Un’architettura che non rappresenta sè stessa, ma accompagna la vita.
Come un invito amichevole, emergono presenze note, sculture il cui volto assume valenze nuove col variare del contesto: le tonalità del cielo che mutano col clima, il transito delle nubi, il volo degli uccelli.
Casa – arcipelago sulla collina che non si limita a guardare lo spettacolo naturale, ma vi partecipa col proprio incanto.

 

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