Arte cultuale, una simbiosi tra architettura e iconografia.

Diretto da: Carlo Chenis
Periodico allegato a Chiesa Oggi architettura e comunicazione

Arte cultuale
una simbiosi tra architettura e iconografia

Pittura in contesto

Un master di iconografia è integrabile in un master di architettura per esprimere la complessità unitaria dell’habitat cultuale. Spazio in cui l’architettura è iconografica e l’iconografia è architettonica. Pertanto l’iconografo che si dispone a rappresentare quanto “è avvenuto tra Dio e l’uomo” (PAOLO VI, Allocuzione, 7 maggio 1964) deve operare in sintonia con l’architettura e con la liturgia. Di conseguenza, occorre investire nella formazione dei molteplici operatori che concorrono alla costituzione della chiesa edificio. Accanto ai vari master in architettura stanno così nascendo master in arte e in artigianato. La Fondazione Staurós, che da oltre trent’anni opera nel settore dell’arte sacra contemporanea, ha attivato un Corso di perfezionamento in arte per la liturgia con il patrocinio della Pontificia Commissione per i
Beni Culturali della Chiesa e con la collaborazione dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Il Corso, che sta varando la III edizione, riceve un massimo di 25 diplomati nelle Accademie di Belle
Arti. Ha carattere residenziale articolandosi in due stages che si svolgono a San Gabriele, nella sede del Museo Staurós d’Arte Sacra Contemporanea. L’attività formativa comprende lezioni frontali, attività di laboratorio, visite a collezioni e, soprattutto, momenti di condivisione con la vita conventuale, con artisti affermati e con docenti universitari. Il Corso si propone di facilitare l’incontro dell’arte contemporanea con la Chiesa e di arricchire l’iter
formativo proposto dalle Accademie con un modulo specificamente dedicato all’arte cultuale. Omar Galliani, artista e docente, presentando i contenuti delle sue lezioni con uno schema “epigrafico” lascia intravedere lo spirito che anima
il Corso: "Sacrum tego”. Esiste oggi una concreta urgenza del ‘sacro’ nell’arte? Quali sono i luoghi abilitati a celebrarlo? L’architettura, l’urbanistica, l’arredo, il raccoglimento della stanza, ecc.Tematiche su cui riflettere e parlare per arginare l’inesorabile dispersione delle energie sensibili che ancora albergano nell’uomo. La preparazione di una superficie,
la stesura di un pigmento o di un segno possono trasformarsi in preghiere potenti e parlare al ‘cuore’. Sceglieremo quindi le tematiche e i soggetti a cui dare forma attraverso le tecniche del disegno, della pittura, o altri media adatti a trascriverne il messaggio. Messaggeri di un alfabeto senza parole. Questo potrebbe essere il vero senso e significato
di questa missione da compiere cercando di dare forma a ciò che non può esser ‘detto’ ma ‘sentito’ anche oggi" (Omar Galliani, agosto 2003).

Stupore del sacro

Il Corso abilita all’espressione cultuale attraverso la via dello stupore, poiché per esprimere il sapore della fede con lo splendore dell’arte occorre sperimentare la “meraviglia del sacro”. S’avvale per questo della residenzialità, onde percepire la presenza del divino nell’habitat conventuale e nell’esposizione artistica. L’ammirazione della “presenza-assenza” di Dio oscilla dialetticamente, ma non contraddittoriamente, tra desiderio e realtà.Tale ammirazione suscita negli stagisti lo stupore religioso, attivando il desiderio di rappresentare nel sensibile il “volto di Dio”. Ciascuno,
con le personali precomprensioni ed emozioni, sperimenta teoreticamente ed esistenzialmente che si può lodare l’Onnipotente in tanti modi, attraverso stili molteplici e approcci differenziati. È però sempre il Signore ad imprimere nell’arte sacra l’afflato soprannaturale, trasformando i segni sensibili in metafora dell’ineffabile divino. Gli stagisti imparano che in chiave cristiana non si tratta di “inventare”, bensì di “vedere” il “volto di Dio”.Tale “visione” esige un iter complesso che va dalla tensione naturale all’esperienza soprannaturale. Connaturalmente vi è il desiderio
del numinoso che non deve ridursi ad invenzione idolatrica e può risolversi in metafora estetica. È però l’ossequio
della fede a far varcare le soglie del soprannaturale, sospingendo l’animo dell’artista verso approdi spirituali. In tali approdi architettura ed iconografia s’adombrano per la “gloria di Dio”.

Esperienza di Dio

Il Corso insegna che per ammirare con “stupore sacrale” il “volto di Dio” occorre coniugare ragione e fede, sperimentando tanto il contesto spaziale quanto quello rituale. Lo splendore della verità s’addice allo splendore della bellezza e procura l’Einfühlung, cioè “la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non si riuscirebbe a capire e ad esprimere” (PAOLO VI, Incontro con gli artisti nella Cappella Sistina, 7 maggio 1964).Vanno perciò superate le scissioni tra arte, filosofia e fede, onde permettere all’uomo la fruizione della bellezza estetica, l’intuizione degli ultimi fondamenti, l’adesione alla “bellezza che salva” (Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti,
4 aprile 1999, 16). Gli stagisti sono “avvertiti” dalle considerazioni interdisciplinari dei docenti e “provocati” dalla visione personale della Biennale, dal momento che il Corso si svolge nel Museo Staurós e si confronta con la Biennale di Arte Sacra Contemporanea. Soprattutto, sono “sedotti” dall’habitat passionista, poiché le attuali generazioni e
gli artisti contemporanei sono abitualmente estranei ai recinti del sacro e all’esperienza della fede. L’insieme di questi aspetti, vissuti e meditati, conduce i partecipanti al superamento dello iato tra Chiesa ed arte, al fine di ricostituire la connaturale organicità e esperienzialità dell’arte dedicata al culto. Se il cristianesimo non chiede necessariamente all’artista che si dedica al sacro la pratica rituale, tuttavia ne ritiene doverosa l’apertura religiosa. L’artista, al fine di manifestare, deve infatti intuire il senso religioso, deve nutrirsi della testimonianza cristiana, deve apprendere dal magistero ecclesiastico, deve aspirare alla visione celeste. Per questo motivo il Corso non fornisce mere informazioni
sul piano teoretico, storico e tecnico; fa invece sperimentare praticamente la vita ecclesiale e liturgica. Esso allena a pensare l’opera cultuale in contesto celebrativo, sia nell’intuire il genius loci del luogo e della comunità a cui la sua opera è destinata, sia nell’avviare un processo creativo che abbisogna di compartecipazione religiosa e di estetica teologica.

Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB

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