ARCHITETTI E DIOCESI

Abbiamo conosciuto una ventata di interesse verso l’architettura delle chiese, come raramente s’era visto nell’epoca contemporanea. La tendenza predominante mostrava accenti critici ma ricordiamo che in Italia dall’epoca del Concilio Vaticano II (1963-65) sono state costruite migliaia di chiese, e sino a questo periodo sui mass-media c’è stato un silenzio quasi totale: almeno fino all’inizio degli anni ‘90, quando è nata CHIESA OGGI architettura e comunicazione, e fino a quando la Chiesa non ha indetto concorsi importanti, come 50 Chiese per Roma 2000 in vista del Grande Giubileo, i Progetti Pilota della Conferenza Episcopale Italiana, il Premio Internazionale di Architettura Sacra della Fondazione Frate Sole, i diversi Premi Nazionali di Idee di Architettura lanciati dalla nostra rivista con il Consiglio Nazionale degli Architetti. Quando si parla di architettura (non solo delle chiese), si tende a pensare al progettista come artefice unico della sua riuscita: è una verità tanto parziale da divenire a volte una falsità, un pericoloso equivoco. Certamente il progettista “firma” l’opera e ne è responsabile: ma è anzitutto un anello di una catena ben più vasta. I riferimenti noti sono le grandi committenze di Giulio II e Alessandro VII (per non parlare di Sisto V) quando si è configurata la Roma rinascimentale di Raffaello, Michelangelo, Bernini… Le opere erano discusse tra  ommittente e artefice in un dialogo fitto, intenso, a volte tempestoso, mai erano frutto di una sola mente. Con il convegno Il Servizio diocesano per l’edilizia di culto. Struttura e funzionamento (v. servizio alle pagine 14-15), la CEI pone l’accento sulle modalità di azione del committente dei giorni nostri: meno ”principe illuminato”, più pronto a coinvolgere diverse voci. “Oggi la Chiesa è conscia che occorra far emergere una reparazione specifica – spiega l’Arch. Carlo Capponi, dell’Ufficio Beni Culturali Arcidiocesi di Milano – Questo è uno dei motivi per i quali negli uffici come il mio, o in quelli per l’Edilizia di Culto, si trova un numero crescente di specialisti: figure capaci di dialogare con le Soprintendenze e con i diversi uffici tecnici. Non solo a Milano, ma anche a Vercelli, Tortona, Padova, Novara, per dire solo di alcune diocesi vicine…” Sono state codificate le procedure cui attenersi per l’incarico, si cerca di ottenere la precisa orrispondenza tra preventivi e consuntivi, si instaura un confronto intenso con i progettisti. Quella del costruttore è sempre stata un’arte complessa: oggi lo è più che in passato, a causa del moltiplicarsi di controlli esercitati dalle diverse Autorità (statali, locali, ecclesiastiche…) e dell’accentuarsi della necessità di ottenere progetti rispettosi dell’ambiente (nel caso delle nuove edificazioni) e dell’esistente (nel caso dei restauri). Il livello tecnologico che si mette in campo è ulteriore ragione per richiedere competenze aggiornate. Ci si trova in una situazione in cui è sempre più chiaro che la committenza in quanto tale è la principale responsabile dell’opera: a partire dalla scelta delle persone (progettisti o restauratori), per continuare con l’accompagnamento delle realizzazioni, così che nulla sia lasciato al caso. Il riconoscere nella coralità la condizione per la qualità è un punto di arrivo cruciale, sul quale da queste pagine abbiamo sempre insistito.
Il progetto non è un “atto creativo” avulso dalla realtà economica, liturgica, ambientale, umana, storica. Architetto significa “capo dei costruttori”: l’etimologia stessa implica che non si tratta di una persona isolata, bensì di qualcuno che raccoglie e armonizza le energie e le competenze di molti e, nell’età della tecnica, del risparmio energetico, dei nuovi materiali, il campo delle competenze da coordinare è molto vasto. L’impegno per il buon funzionamento degli uffici diocesani è la condizione sine qua non perché si ottenga una qualità di edifici e opere conservative non viziata dalle mode, ma fondata sulla competenza e sulla lunga prospettiva cronologica: del resto è così che la Chiesa ha sempre agito, e la storia dell’architettura ne è la testimonianza.La mia esperienza di parroco in una popolosa comunità cittadina. Sono stato parroco a Milano, in S. Maria del Suffragio. Il territorio della parrocchia occupa una vasta zona che fa da ponte con quelle aree industriali che erano in prima periferia negli anni ’70 e che ora costituiscono a pieno titolo un quartiere molto popoloso della città e particolarmente legato alla parrocchia. La chiesa è un edificio di sobrie linee architettoniche dallo stile tipicamente lombardo e ottocentesco con la facciata tripartita che sottolinea le navate interne: la chiesa è stata completata circa nel 1897. Quando ero parroco accadde un episodio che poteva avere conseguenze molto serie: si verificò il cedimento verticale di una colonna che trascinò in successione anche le altre, della stessa navata. La chiesa era fondata su un terreno consolidato da pali di legno (“passoni”) infissi nel terreno in modo da conferirgli una idonea capacità portante. Erano immersi nell’acqua della falda freatica. A seguito dell’abbassamento di essa, i legni sono stati aggrediti da batteri che, nel corso degli anni, li hanno distrutti formando dei vuoti verticali che hanno favorito il cedimento. Questa esperienza insegna che dobbiamo sempre vigilare sulle nostre strutture. In questa circostanza gli Uffici di Curia mi sono stati di grande aiuto per accompagnarmi in tutti i lavori che un tale dissesto ha reso necessario.
Come parroco e abate della basilica di sant’Ambrogio. Oggi il mio ministero nella chiesa è quello di vicario episcopale per la città di Milano (170 parrocchie) e Abate-Parroco della basilica di sant’Ambrogio. La comunità ecclesiale milanese è ampia e articolata, molto stimolante. Riconosco in piccolo – nella comunità parrocchiale – molte di quelle dinamiche esistenziali e culturali che caratterizzano la comunità cristiana di Milano: l’operosità, la generosità, il legame al territorio, la vivacità intellettuale e un patrimonio strutturale davvero considerevole, segno di un legame fortissimo tra la popolazione e la chiesa. 
Nel territorio della città di Milano a tutt’ora vi è in programmazione la costruzione solo di due nuove chiese, pertanto l’impegno principale dal punto di vista dei beni architettonici è quello della conservazione e ove occorre del restauro.  
Qui si deve registrare una certa lentezza specialmente nelle trattative – spesso molto lunghe – con quegli uffici territoriali che rilasciano le autorizzazioni ad interventi di vario genere. Sia l’Ufficio Nuove chiese della diocesi che l’Ufficio Nazionale della CEI forniscono un supporto puntuale mediante tecnici molto competenti che riducono al minimo l’impatto della burocrazia: i parroci ormai lo sanno, si fidano e si rivolgono a queste strutture.
Che importanza hanno gli uffici diocesani? L’aiuto offerto dagli uffici diocesani è notevole: senza queste strutture le incombenze tecniche e amministrative finirebbero per sottrarre molto tempo all’attività pastorale. Tali uffici nella nostra diocesi sono una risorsa affidabile in continuo aggiornamento e specializzazione. Questo consente ai parroci di fidarsi e di trovare quella competenza tecnica e professionale che agevola lo svolgimento di pratiche con le quali un ecclesiastico non ha in genere molta confidenza. Un ufficio di curia garantisce competenza ed esperienza: si pensi alla ricchezza e all’articolazione della casistica di una diocesi con più di 1100 enti parrocchiali. Chi fa da sé molto spesso incappa in errori e ingenuità che disperdono inutilmente energie e a volte purtroppo anche denari che, non dimentichiamolo, meritano grande rispetto derivando in gran parte da donazioni e offerte frutto di piccole o grandi rinunce. Gli edifici ecclesiastici, tutta l’arte che rappresentano e contengono, dicono la fiducia delle generazioni passate e devono essere gestiti in modo
serio e competente per guadagnare la fiducia delle generazioni presenti e future. Questa è una grande responsabilità in merito alla quale non si può improvvisare. A questo riguardo la sensibilità dei sacerdoti è indiscutibilmente aumentata.
Uno sguardo al futuro: il territorio “virtuale”. La comunità cristiana oggi si trova impegnata su diversi fronti, non ultimo quello virtuale di internet che, in un certo senso – specialmente se si pensa ai social network – ha preso il posto della piazza, sulla quale si affacciano le nostre chiese. Recentemente a Milano si è svolto un incontro al quale ha partecipato anche il cardinale arcivescovo, dal titolo molto interessante: “testimoni digitali”. Penso che le nostre strutture architettoniche – specialmente artisticamente rilevanti – meritino di affacciarsi anche sulla piazza virtuale e non solo su quella fisica. Penso alle opportunità pastorali o relazionali offerte da un sito internet legato ad una parrocchia: è possibile realizzare davvero un luogo di incontro, magari amplificato dalla rilevanza storica e artistica della chiesa. Penso alla possibilità di muoversi all’interno dei nostri straordinari monumenti mediante programmi che ripresentano virtualmente le immagini di una chiesa artisticamente significativa: ve ne sono già on line di molto ben fatti e in continuo miglioramento. Immagino un nuovo modo di fare catechesi mediante l’arte: nulla può sostituire la visita reale ma questa può essere preparata con profondità inedita. Milano ha moltissimo da dare a questo proposito  e le occasioni non mancano: nel 2012 avremo la Giornata mondiale della Famiglia, nel 2013 l’anniversario dell’Editto di Milano, nel 2015 l’Expo… momenti di incontro ai quali dobbiamo giungere preparati e al passo con i tempi, formando una rete relazionale e collaborazioni tra comunità capaci di condividere e valorizzare i beni inestimabili che la storia della chiesa milanese ha saputo generare. In questa rete di competenze e responsabilità gli Uffici di curia svolgono un compito fondamentale. Riducono al minimo la dispersione di tempi e di energie salvaguardando lo specifico impegno pastorale.

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