Alla Biennale d’Arte Sacra

La lirica del vetro

I lavori di Franco Bianchetti superano l’ambito artigianale della vetratistica per attingere a un linguaggio inedito che dà origine a una materia-pittura in cui la luce diviene metafora del sacro.

L’artista Franco Bianchetti ha esposto alcune sue opere, eseguite nel laboratorio dell’Officina Santhomé, alla Biennale d’Arte Sacra (Nel Segno della Luce) organizzata dalla Fondazione Stauròs e svoltasi al Santuario San Gabriele (TE) dal 20 Luglio al 29 Settembre 2002. Dell’opera di Bianchetti, Domenico Montalto scrive, nel catalogo della mostra: “Con questi lavori di grande suggestione lirica, silenti e cromaticamente profondi, l’ar tista bergamasco rivisita con attualità di pensiero il portato della tradizione vetratistica, superando l’ambito dell’artigianalità per attingere invece a un linguaggio inedito e innovativo che ha nel vetro il suo esclusivo statuto materiale. L’interazione fra l’amorfo del minerale di base e la “morfé” (forma) della progettazione – esecuzione dà qui origine a una materia-pittura di rara bellezza che evoca, senza peraltro illustrare, la luce come metafora del sacro, quella “claritas” o trasparenza che per Sugero di Saint Denis e secondo la filosofia scolastica era omologia del divino. Nella sua apparente monodimensionalità, il vetro cessa di essere diaframma fisico, e misteriosamente diviene invece cerniera, nesso e luogo di permeabilità e osmosi fra il finito e l’infinito, evocato dalla drammaticità dei rossi e dei blu. Nell’opera Stupefatto spazio, il cui titolo è esplicito omaggio alla poetica reboriana dell’immagine tesa, l’ombra fonda si fa davvero, per usare le parole del testo, “ombra accesa”.

Nelle foto: Franco Bianchetti, Battesimo (2002 – vetro soffiato, grisaille, incisioni con acido, cm. 100 x 80).
Franco Bianchetti, Stupefatto spazio (2002 – cristallo, vetro soffiato, ferro, cm. 75 x 75 x 75).

Inquiete luminosità sonore, le geometrizzanti e minimali gabbie di vetro di Bianchetti, contrariamente alle claustrofobiche gabbie dipinte da Bacon, manifesti dell’angoscia contemporanea, vengono scardinate e sublimate dalla vibrazione luminosa. Nell’opera Battesimo – una lastra in vetro soffiato, grisaille, incisioni con acido – l’acqua lustrale e il corpo umano sono suggeriti dal blu profondo d’abisso, che però trascolora in luminosità rasserenanti. Mentre la piaga, estremo sacrificio del Crocifisso, recide il male (serpente), raffigurato in un informe disfarsi. Un’opera di certificabile forza simbolica, ideale per l’edificio liturgico, seguita sotto la suggestione del brano in cui san Paolo paragona l’immersione battesimale al morire:” Per mezzo del battesimo che ci ha uniti alla sua morte, siamo dunque stati sepolti con lui, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la potenza gloriosa del Padre, così anche noi vivessimo una nuova vita”.

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