Alcune considerazioni preliminari

Alcune riflessioni preliminari

Un soggetto ecclesiale più attento e consapevole, un diligente rispetto delle capacità professionali, il ritorno a un
uso sapiente del tempo: sono questi i presupposti necessari per la completa attuazione della Nota.

Mons. Giancarlo Santi, Direttore dell’ Ufficio per i Beni Culturali della Chiesa,
Conferenza Episcopale Italiana

Il mio intervento si limita ad alcune riflessioni preliminari alla lettura della Nota pastorale L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica della Commissione episcopale per la liturgia della Conferenza Episcopale Italiana, pubblicata
venerdì 31 maggio 1996. I punti sui quali fermerò l’attenzione sono cinque: 1. le ragioni che hanno spinto i Vescovi italiani a elaborare questo nuovo documento; 2. l’articolazione del documento; 3. la scelta di fondo su cui la Nota è stata costruita; 4. i suoi punti nevralgici, 5. le premesse per la sua attuazione.

1. Perché è stata scritta la Nota pastorale

a) I documenti emanati dalla Conferenza Episcopale Italiana nei quarant’anni compresi tra il 1954 e il dicembre 1995 occupano ormai cinque volumi e prendono in considerazione l’intera gamma dei temi nei quali si articola la pastorale
della Chiesa in Italia: catechesi, liturgia, carità in tutte le loro forme. Tra essi non mancano i documenti che si riferiscono alla liturgia e, in particolare negli anni ‘90, vi sono due documenti dedicati specificamente all’arte sacra e ai beni
culturali: gli Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana I beni culturali della Chiesa in Italia del 9 dicembre 1992 e la Nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia La progettazione di nuove chiese del 18 febbraio 1993.
Questa osservazione preliminare consente di rilevare che solo negli anni recenti nei documenti della Conferenza Episcopale Italiana sta emergendo la tendenza a dare rilievo autonomo ai temi dell’arte sacra e dei beni culturali; in precedenza a tali argomenti si accennava all’interno di documenti che si riferivano complessivamente alla liturgia. Questa tendenza sembra corrispondere a una graduale presa di coscienza della specificità del problema delle
arti nel contesto della più ampia e variegata problematica liturgica e pastorale. Contemporaneamente non si può ignorare il fatto che, con il passare del tempo, il grande numero di documenti emanati in attuazione delle disposizioni del
Concilio da parte della Santa Sede (la collana più diffusa di tali documenti è giunta al tredicesimo volume), oltre che della Conferenza Episcopale Italiana, ha provocato una sorta di sazietà da parte dei destinatari; ciò ha indotto i diversi organismi ecclesiastici a valutare con molta prudenza la opportunità di pubblicare nuovi documenti e a limitarsi a pubblicare solo quelli ritenuti veramente urgenti e strettamente necessari.
Il nuovo documento della CEI riguardante l’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, perciò, deve considerarsi frutto da una parte della graduale messa a fuoco del tema specifico e, dall’altra, di una attenta valutazione di opportunità da parte dei vescovi italiani che ne hanno colto la necessità e Furgenza per tutta la Chiesa che è in Italia.

b) Per avvicinarci alle ragioni che hanno motivato la decisione dei vescovi italiani di elaborare il documento sull’adeguamento occorre innanzitutto ricordare che la elaborazione di questo documento esprime il modo specifico della Chiesa di guardare all’arte: questo nuovo documento, infatti, segue, integrandoli, due documenti citati in precedenza,
dedicati ai beni culturali e alla progettazione delle chiese nuove. Ne risulta evidenziato e condotto a termine un disegno pastorale unitario secondo il quale la necessità della conservazione-tutela e valorizzazione dei beni culturali, l’impegno creativo della Chiesa per quanto riguarda la progettazione di nuove chiese e l’adeguamento delle chiese secondo la
riforma, considerati unitariamente, manifestano l’impegno della Chiesa nel campo dell’arte e dei beni culturali. La Chiesa, infatti, (cfr Principi e Norme per V uso del Messale Romano, n. 254) “come si sforza di conservare le opere d’arte e i tesori che i secoli passati hanno trasmesso e, per quanto possibile, cerca di adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere nuove forme corrispondenti all’indole di ogni epoca”.

c) Procedendo ulteriormente nella comprensione delle ragioni che hanno spinto i vescovi italiani alla elaborazione del nuovo documento vale la pena richiamare le ragioni che il documento stesso espone. La prima ragione proposta in apertura del documento è di carattere generale e di principio: l’adeguamento delle chiese è da considerare “parte integrante della riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II: perciò la sua attuazione è doverosa come segno di fedeltà al Concilio”. Con queste parole si intende ribadire che l’adeguamento liturgico delle chiese corrisponde a una precisa determinazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, non è da considerare una iniziativa locale o personale o genericamente riferibile al Concilio stesso. Inoltre, ribadendo la doverosità dell’adeguamento, si chiarisce oltre ogni ragionevole dubbio che esso non può essere in alcun modo considerato, né in ambito ecclesiale né, a maggior ragione,
in ambito civile, come un semplice suggerimento o una opportunità da valutare in modo discrezionale. Si vuole chiarire inoltre che il progetto di adeguamento e le sue modalità di attuazione sono oggetto di una specifica disciplina da rispettare. Sullo sfondo di questa precisazione non si possono non riconoscere valutazioni e comportamenti presenti sia in ambito ecclesiastico sia in ambito civile che da una parte tendono a sminuire la doverosità, l’importanza e il significato dell’adeguamento delle chiese compromettendo in qualche misura la stessa attuazione della riforma liturgica, e dall’altra
tendono a ricondurlo nell’ambito delle iniziative da attuare in forme del tutto svincolate da specifiche norme disciplinari,
sminuendone la dimensione ecclesiale e il diretto coinvolgimento dei vescovi. La seconda ragione addotta dal documento – che nel nostro Paese l’adeguamento delle chiese “presenta tuttora carattere di urgenza, comporta implicazioni di interesse generale ed è particolarmente complesso” – fa riferimento alla situazione di fatto, che presenta lacune vistose e notevoli aspetti problematici. Il documento sostiene che l’adeguamento ha ancora carattere di urgenza; ciò implica da una parte che l’adeguamento costituisce un obiettivo di grande e generale importanza e dall’altra che la situazione delle chiese italiane proprio su questo punto non si può ancora ritenere nel complesso accettabile, a causa di ritardi, incomprensioni, sfasature, parzialità. Non è un mistero, infatti, che molte chiese italiane si trovano ancora in una situazione di provvisorietà, talvolta non decorosa. Si avverte che, in momenti diversi, sono stati fatti tentativi di adeguamento; sono stati attuati interventi su punti particolari in assenza di un disegno unitario; numerose iniziative sono state attuate specialmente nei primi anni dopo il Concilio mentre negli anni successivi l’interesse per tali iniziative è diminuito. In molte chiese parrocchiali e cattedrali italiane ci si trova di fronte ad altari, amboni, sedi, presbiteri frutto di adattamenti condotti frettolosamente, che mettono in evidenza la mancanza di una
vera e propria progettazione unitaria, non verificati nel tempo e apparentemente privi di prospettive.
In altre chiese i tentativi di adeguamento sono ridotti ai minimi termini, sono appena accennati e comunque sono stati
attuati con carattere di provvisorietà. Si è in una situazione di stallo sostanziale. In simili situazioni si trovano molte cattedrali, per le quali le legittime ragioni della conservazione hanno spesso provocato una sorta di paralisi. Vi sono inoltre molte altre situazioni, specialmente nelle chiese di recente costruzione, nelle quali gli adattamenti, pur essendo stati attuati in forme stabili, sulla base di progetti elaborati e approvati, risultano incompleti o si sono dimostrati non idonei (si pensi, ad esempio, alla sistemazione di molte fonti battesimali sul presbiterio): in questi casi è necessario da una parte completare e dall’altra verificare quanto è stato realizzato.

d) Le ragioni che i vescovi adducono per sostenere la necessità e l’urgenza di un documento dedicato all’adeguamento delle chiese mettono in luce almeno tre tipi di motivi che hanno provocato ritardi o sfasature nell’attuazione dell’adeguamento nei trent’anni trascorsi dal Concilio. Innanzitutto la specifica materia, la riforma liturgica, che si è
attuata nel corso del tempo, ha privilegiato la redazione dei nuovi libri liturgici e solo gradualmente ha rivelato le sue potenzialità. A questo proposito è il caso di ricordare che la riforma liturgica in corso è considerata dagli storici la più vasta che la Chiesa cattolica abbia conosciuto nel corso della sua storia. In secondo luogo la complessità del problema progettuale che, per certi aspetti, è privo di precedenti significativi negli ultimi quattro secoli e richiede competenze
di particolare livello e preparazione. Si tratta infatti di intervenire in ambienti monumentali spesso di grande importanza storica e artistica, cosa che richiede grande attenzione e scrupoloso rispetto. In terzo luogo la preparazione dei committenti, giudicata in genere in modo piuttosto severo, i committenti dei lavori di adatta- mento sono infatti in genere i parroci, la cui competenza specifica in materia di liturgia e di architettura è modesta. Per completezza non si possono qui sottovalutare e vanno segnalate le difficoltà di natura culturale, prima e più che di natura procedurale e normativa, conseguenti al fatto che in moltissimi casi le chiese da adeguare sono soggette alla tutela statale. Sullo sfondo si intravedono complesse e profonde questioni di natura culturale che sono emerse in occasione dell’adeguamento delle chiese, ma che gli preesistevano: i rapporti non risolti nella pratica tra liturgia, arti e architettura; il valore della dimensione architettonica e artistica nella pratica e nella teoria della liturgia; il significato della liturgia per l’architettura; le relazioni spesso problematiche tra Chiesa e mondo della cultura, dell’arte e delle professioni; i rapporti pacificati ma non ancora del tutto e sempre sereni, a questo proposito, tra Chiesa e Stato.

2. L’articolazione

II documento sull’adeguamento – che, come ogni documento ecclesiale, si rivolge in primo luogo ai vescovi, ai parroci,
agli esperti in liturgia e in teologia ma in questo caso si rivolge anche a progettisti, artisti, artigiani, funzionali preposti alla tutela – è organizzato secondo una semplice architettura e comprende tre capitoli, una introduzione, una conclusione, due appendici documentarie.

a) L’introduzione motiva la pubblicazione del documento, ne evidenzia problematiche proprie, difficoltà, contenuti, destinatari, obiettivi, contesto.

b) II primo capitolo, che riprenderemo nel punto 3 di questo scritto, mira a mettere in luce le connessioni profonde che intercorrono tra la chiesa-edificio e la liturgia, in modo da chiarire le ragioni di principio per le quali l’adeguamento, richiesto dal Concilio, è da considerare un evento fisiologico all’interno di una chiesa cattolica, non un attentato alla sua integrità o un’iniziativa stravagante e immotivata.

c) II secondo capitolo, il più esteso del documento, passa in rassegna tutte le parti e le articolazioni delle chiese da adeguare. Premesso che in ogni caso il progetto di adeguamento, anche se riferito a un singolo problema, deve essere concepito in prospettiva globale, il documento passa in rassegna i problemi posti dall’adeguamento degli spazi per la celebrazione dell’Eucaristia (aula, presbiterio, altare, ambone,
sede del presidente, custodia eucaristica, posto del coro e dell’organo, stalli del coro, cappella feriale, arredi e suppellettili), del Battesimo, della Penitenza, i luoghi sussidiali (sacrestia, deposito, sagrato, piazza), il programma iconografico e decorativo. Ogni problema viene sobriamente inquadrato e per ciascuno di essi si propongono alcuni criteri di soluzione.

d) II terzo capitolo è una sorta di guida offerta al committente e al progettista in vista della elaborazione del progetto. Dopo avere identificato i protagonisti (il committente, il progettista e il consulente) e lo scenario (le chiese da adattare nei loro tipi più frequenti), si descrive l’itinerario progettuale: si parte dalle domande iniziali, si prosegue con le diverse
fasi del progetto (indagine preliminare, dibattito, progetto di massima, fase sperimentale, progetto esecutivo), si passano in rassegna il progetto delle strutture e quello degli impianti (elettrico, di illuminazione, riscaldamento, diffusione sonora, antifurto e antincendio), si conclude con la problematica delle barriere architettoniche. Non manca
una puntuale avvertenza a riguardo della consegna e della conservazione dei documenti e degli elaborati del progetto e un chiaro richiamo alla normativa canonica e civile, la cui conoscenza e il cui rispetto sono essenziali.

e) Nella conclusione, citando esplicitamente la espressione chiave del III Convegno Ecclesiale di Palermo, il documento mette in evidenza il valore culturale della proposta pastorale sollecitata dai vescovi con il documento sull’adeguamento. Analogamente al documento sulla progettazione di nuove chiese, per facilitare il compito dei committenti e dei progettisti, il documento è stato dotato di due ampie appendici. La prima appendice elenca e passa in rassegna gli elaborati da predisporre e le procedure da seguire per dar vita al progetto e condurlo ad esecuzione. La seconda appendice riporta, citandole per esteso, le principali norme liturgiche, canoniche, civili e concordatarie più frequentemente utilizzate dai committenti e dai progettisti.

3. La scelta di base

II documento sull’adeguamento ha il compito non semplice di farsi strada tra due atteggiamenti opposti, diffusi nell’ambiente eccelsiale. Da una parte vi è chi sottolinea a tal punto il primato della partecipazione dei fedeli alla celebrazione liturgica nella sua dimensione personale e assemblare da limitare fortemente l’importanza del luogo; di conseguenza ne risulta sostanzialmente demotivata ogni iniziativa di adeguamento, secondo la massima che l’assemblea liturgica potrebbe prescindere da un luogo specifico e quindi potrebbe riunirsi in qualsiasi luogo. Amplificando primarie esigenze di natura personale questa posizione finisce paradossalmente per togliere ogni significato all’adeguamento delle chiese e per confluire con le posizioni dei più intransigenti sostenitori della conservazione assoluta. Dall’altra vi è chi sostiene che le celebrazioni liturgiche sono per la Chiesa eventi di significato
e valore tanto elevato e così ricco di implicazioni anche per quanto riguarda l’architettura e le arti da richiedere e giustificare importanti interventi di adeguamento, secondo la massima che l’architettura delle chiese, nata per il culto, ad esso deve comunque servire. Esasperando giuste esigenze di natura pastorale si giunge così a giustificare qualunque intervento nelle chiese, perdendo di vista le esigenze della conservazione. Il documento sull’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, nel primo capitolo entra nel merito di queste problematiche tenendo conto e conciliando
sia le esigenze dell’assemblea celebrante, sia quelle del luogo di celebrazione. Una concreta assemblea celebrante, infatti, nelle condizioni normali, ha bisogno di un luogo per radunarsi e per dar vita alle proprie celebrazioni e nel celebrare si rapporta con esso in modo molto intenso e vario, anche se non si può affermare che ne sia condizionata in modo assoluto. L’esperienza celebrativa cristiana, infatti, nel corso della storia si è rivelata capace di dar forma alle
più diverse architetture: la storia dell’architettura e dell’arte lo testimoniano al di là di ogni possibile dubbio. Comunque sia, nella concezione cristiana, una assemblea celebrante non è mai insensibile rispetto all’architettura che la ospita.
Il modo con cui un edificio ospita una celebrazione, a sua volta, è sempre attivo e in qualche modo consente di manifestare qualche tratto profondo dell’assemblea che vi si riunisce. Le chiese esprimono, spesso più di quanto si suppone, il senso di chiesa, la teologia, la sensibilità concretamente vissuta dalle comunità che vi abitano. Non è del tutto fuori luogo parlare delle chiese come segno memoriale e come immagine escatologica della comunità dei credenti.
A partire da queste considerazioni il documento pone le premesse di natura lirugica alle iniziative di adeguamento liturgico. Queste premesse, evidentemente, dovranno essere pensate e attuate nel rispetto delle istanze disciplinari proprie del progettare, delle quali anche i vincoli di natura giuridica non possono non tenere in debito conto.

4.1 punti nevralgici

Nella Nota pastorale sono presenti alcuni punti nevralgici che ne governano l’impianto e ne condizionano la comprensione e l’attuazione. Considerata la loro rilevanza sembra opportuno metterli in luce e commentarli brevemente.

a) Il rapporto lirturgia/architettura.
La Nota pastorale dedica a questo fondamentale problema l’intero primo capitolo insistendo sulla consistenza e la qualità di tale rapporto. Non può sfuggire a nessuno che la collocazione e la specifica attenzione di questo primo capitolo sono sintomi del fatto che si tratta non di una tra le tante questioni, ma della questione pregiudiziale. Il modo di intendere tale rapporto condiziona radicalmente ogni intervento di adeguamento; a seconda della risposta che si da ad essa diventa possibile o impossibile in linea di principio parlare di adeguamento. Al riguardo la Nota si limita ad alcune chiare affermazioni, poco più che accenni, con le quali essa intende stimolare i competenti ad un serio approfondimento. Pare, infatti, che in linea di principio sulla rilevanza di tale rapporto vi sia un ampi
o consenso tra studiosi di liturgia e tra non pochi storici dell’arte; per converso, pare che la conoscenza dei rapporti tra architettura e liturgia sia piuttosto limitata; a questo proposito ben poco si è ricercato e scritto nei trenta anni successivi al Concilio Vaticano II. Si ha la netta impressione che l’indagine teorica e l’indagine storica non siano ancora state avviate e ciò vale da una parte per gli storici dell’architettura e dall’altra per gli storici della liturgia. La mancanza di un approfondimento conoscitivo circa tale rapporto, presupposto ma non elaborato criticamente, ha certamente condizionato negativamente il lavoro di adeguamento. L’avvio di tale ricerca in sede storica e in sede teoretica – che, se è vero quanto sopra affermato, va fatto con la massima urgenza – costituisce una scelta prioritaria rispetto alla ripresa del lavoro di adeguamento. Per concludere su questo punto, occorre riconoscere che sia la committenza (compresi i suoi consulenti) sia il mondo delle
professioni sono ancora in una situazione di debolezza culturale su questo argomento di capitale importanza.

b) II progettista.
L’esperienza dei primi tre decenni successivi al Concilio ha consentito di cogliere, in negativo, quanto la figura del progettista costituisca un punto nevralgico dell’intera questione dell’adeguamento. Rispetto a questo fondamentale
problema la Nota prende chiara posizione sollecitando i committenti ad attribuire ai progettisti il ruolo che spetta
loro, distinguendoli da altre figure che hanno carattere esecutivo, a scegliere progettisti di alta qualificazione
professionale, a mettere i progettisti in condizioni tali da poter svolgere correttamente il loro compito (fornendo le necessarie indicazioni, un adeguato riconoscimento economico, una continua e rispettosa collaborazione). La Nota chiede anche ai progettisti di assumere pazientemente tutte le indicazioni e le esigenze espresse dal committente e
di operare in dialogo con le sue istanze specifiche. Da quanto risulta, infatti, molti progetti, sia provvisori, sia definitivi, sono stati realizzati in assenza di un vero e proprio progettista, sulla base di indicazioni fornite direttamente dal committente all’esecutore. Il caso contrario, purtroppo, costituisce una eccezione. Ancora oggi la stessa necessità dell’intervento di un progettista continua a essere largamente sottovalutata; tra l’idea e la sua realizzazione, troppo spesso non vi è posto per l’intervento di un serio e sperimentato progettista. Non si è ancora capito che la scelta fondamentale e condizionante la buona progettazione e la sua buona esecuzione è la scelta del progettista. È ancora largamente diffusa la convinzione che sul progettista e sul progetto si possa tranquillamente risparmiare e che comunque una valida impresa o un bravo artigiano sia in grado di risolvere tutti i problemi, compresi quelli di progettazione. D’altra parte, molto spesso i progettisti hanno rivelato gravi lacune quanto alla cultura specifica, quanto alla capacità di ascolto delle esigenze del committente, quanto alla disponibilità ad operare in collaborazione con i competenti interessati. Le lacune dei committenti e dei progettisti consentono di comprendere il livello generalmente
modesto delle realizzazioni oltre che le difficoltà che talvolta si incontrano nei rapporti tra gli enti ecclesiastici e gli Organi pubblici di controllo.

c) II committente.
Anche la figura del committente – che si identifica normalmente con la figura del parroco, considerato però nella sua
dimensione comunitaria e diocesana – costituisce un punto nevralgico sul quale la Nota si sofferma non poco. In particolare la Nota tratta della questione con molto realismo facendo tesoro dell’esperienza di questi anni. Il committente, in realtà, ha dimostrato ampliamente di non difettare di entusiasmo (in particolare nei primi anni successivi al Concilio) e di decisionismo. D’altra parte, con una certa frequenza, ha dimostrato lacune da vari punti di vista: per quanto riguarda il senso ecclesiale (tendenzialmente il committente considera il progetto un affare privato, della parrocchia o addirittura della persona, nel quale il vescovo e i suoi consulenti possibilmente non devono entrare o sono considerati come potenziali avversati); per quanto riguarda la competenza specifica in campo liturgico (la competenza liturgica del clero italiano è, purtroppo, modesta e, comunque, largamente inferiore a quella richiesta dagli interventi
di adeguamento; la sua competenza in materia di arte è, purtroppo assai debole); per quanto riguarda la cultura della professionalità (il clero italiano, spesso, stenta ad apprezzare la necessità delle competenze specifiche, è in difficoltà quando le deve ricercare, non è in grado di scegliere i professionisti competenti del livello necessario), in campo disciplinare (le discipline canonica e civile, negli ultimi tre decenni, non sembra siano state molto coltivate); in campo economico (le risorse degli enti ecclesiastici sono piuttosto limitate e non sempre sono adeguate alle necessità).
Se poi, ad integrazione del committente più noto, che abbiamo identificato nel parroco, si prende in considerazione la figura del vescovo e dell’organo di consulenza del quale egli si avvale, cioè la Commissione diocesana per l’arte sacra, ci si rende conto che da una parte tale organo di consulenza è presente solo in alcune diocesi italiane ed è, in genere,
scarsamente operativo e dall’altra che le direttive e gli interventi episcopali concretamente sensibili nei riguardi dell’adeguamento non sono frequenti.

d) La progettazione
La Nota dedica ampio spazio (l’intero terzo capitolo) alla progettazione: ne precisa analiticamente contenuti, premesse, sviluppi, concreta elaborazione come se volesse prendere per mano i committenti e i progettisti; vengono indicati i
passi da compiere per costruire un progetto attento e diligente, non approssimativo o parziale ma capace di assumere coerentemente tutte le responsabilità in gioco. Il richiamo alla diligente progettazione scaturisce dalla preoccupazione di modificare una situazione di diffusa debolezza che 36 colpisce il modo di dar vita ai progetti di adeguamento; evidentemente esso va letto in parallelo con il richiamo alla preparazione del committente e alla necessità della presenza e all’alta qualità della figura del progetti
sta.

e) Le implicazioni culturali del progetto pastorale
II quinto punto nevralgico della Nota risulta appena accennato nel numero finale; vi si afferma che l’adeguamento delle
chiese secondo la riforma liturgica costituisce uno dei casi nei quali sono evidentissime e necessarie le implicazioni culturali del progetto pastorale-liturgico della Chiesa. Le vistose lacune rilevate nei primi tre decenni di attuazione della riforma liturgica ne costituiscono una prova clamorosa: possiamo affermare che l’avere sottovalutato o ignorato le implicazioni artistiche della riforma liturgica non solo ha indebolito, se non compromesso, l’attuazione della riforma liturgica, ma anche l’ha trasformata, in più di un caso, in evento che è fonte di disagi e, che, non di rado, risulta
culturalmente negativo.
Il recente Convegno Ecclesiale di Palermo e le conseguenti iniziative della Conferenza Episcopale Italiana programmate per elaborare il progetto culturale potrebbero/dovrebbero consentire di rettificare la situazione precedente e di collocare le iniziative di adeguamento nell’ambito del progetto culturale che la Chiesa intende promuovere. Risulta a
tutti chiaro che il dialogo tra Chiesa e cultura trova nell’intreccio liturgiaarti un campo nel quale può/deve manifestarsi con grande libertà. La eventuale e deprecabile mancata percezione di tale implicazione – che, come si è detto in precedenza, è alla base degli esiti non del tutto felici dei trascorsi anni – finirebbe per condizionare negativamente anche i futuri interventi di adeguamento.

5. Alcuni presupposti per la corretta attuazione della Nota

La Nota pastorale per l’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica si presenta come uno strumento che, per la sua concretezza, si rivela necessario per la promozione della riforma liturgica nelle chiese esistenti. Ma una Nota, da sola, non basta. Non la si può realisticamente considerare uno strumento sufficiente per raggiungere tale scopo. Per la
sua corretta attuazione sono necessari altri presupposti, ai quali, in parte, abbiamo già accennato in precedenza e che
ora, in conclusione riproponiamo.

a) II primo presupposto è un soggetto ecclesiale più attento e consapevole. Non auspichiamo una Chiesa che faccia rivivere il mecenatismo rinascimentale (sarebbe un bel sogno); ci limitiamo a desiderare una Chiesa meno passiva e più riflessiva. Riteniamo necessario che le diocesi e le comunità cristiane tornino, almeno un poco, a coniugare le attività pastorali con la teologia, la liturgia con le professioni e le arti. I segnali che questo primo presupposto comincia a prendere corpo potrebbero essere da una parte una maggiore stima nei riguardi dei professionisti e degli artisti (progetti tutti firmati dai professionisti idonei e adatti) e, dall’altra, la costituzione in tutte le diocesi delle Commissioni
diocesane per l’arte sacra (e, dove questo non fosse possibile, la costituzione di Commissioni interdiocesane).
Nella situazione attuale, infatti, si notano alcune situazioni positive e alcuni tentativi lodevoli, purtroppo ancora largamente minoritari. Le smagliature organizzative e le scorrettezze progettuali sono ancora troppo facilmente tollerate. In molte comunità sono ancora molto diffusi, non più in teoria ma nei fatti, atteggiamenti di diffidenza o di tiepidezza nei riguardi delle professioni e delle arti. Per illustrare la situazione attuale si potrebbero usare due immagini: le comunità cristiane, nel momento in cui diventano comittenti, assomigliano a un gigante addormentato, che ogni tanto si risveglia, ma solo per brevi istanti, usa la sua forza, potenzialmente immensa, solo per qualche minuto, per il resto del
tempo dorme e si agita nel sonno, mettendo in pericolo chi gli sta vicino. Assomiglia anche al giovane erede di una illustre casata, dotato di patrimonio immenso e di cultura straordinaria, che non si è ancora reso conto di possedere
né il primo né la seconda, e non sa apprezzarli a sufficienza proprio nel momento in cui sta facendo progetti per il suo futuro.

b) Il secondo presupposto è il diligente rispetto delle professioni, delle competenze e delle regole. Gli interventi di adeguamento sono frutto di prolungati studi e di elaborazioni sapienti. Le improvvisazioni, i dilettantismi e i colpi di genio non reggono alla distanza, né sono segno di grande responsabilità. Le regole, dalle leggi canoniche a quelle civili,
i regolamenti che riguardano l’attività delle professioni, costituiscono una garanzia per tutti: ignorarle non è difficile, ma produce effetti deleteri. Lavorare intorno a un progetto di adeguamento con pazienza e diligenza non è molto eroico ma da risultati comunque apprezzati e stabili sui quali il tempo e i posteri, forse, potranno esprimere giudizi rispettosi.

c) Il terzo presupposto è il ritorno a un uso sapiente del tempo, delle tecniche e delle risorse eco nomiche a disposizione. Il tempo è una risorsa a nostra disposizione, o meglio lo era, dal momento che viviamo un’epoca in corsa contro il tempo e la Chiesa condivide questo stile di vita. Le risorse tecniche sono notevolissime, disponibili ma spesso
pericolose o scarsamente controllabili, comunque con risultati non garantibili nel tempo; le risorse artigianali sono forze residue, spesso assai costose. Le risorse economiche, invece, oggi non mancano ma sono inferiori alle esigenze e al tempo che si intende impegnare nell’impresa. Anche i progetti di adeguamento, secondo i canoni della cultura attuale, devono essere concepiti rapidamente e ancora più rapidamente devono esser realizzati. Desiderati e attesi, ma non
progettati per durare nel tempo e perché siano in grado di misurarsi con le opere che i tempi lunghi della storia ci hanno lasciato in eredità, tali interventi spesso deludono lasciandoci insoddisfatti e inquieti, dal momento che non riusciamo a capire le ragioni dei nostri fallimenti. A nostro avviso è necessario operare sulla base di un uso più consapevole del tempo, delle risorse tecniche e di quel
le finanziarie, evitando con cura illusioni, sogni ad occhi aperti, miti: come,
invece, è successo negli ultimi trent’anni. Occorre, in altri termini, valutare meglio, più realisticamente, i rapporti che intercorrono tra aspettative (alte, spesso troppo alte) e risorse (comunque proporzionalmente scarse sui tempi brevi), tra tempi di elaborazione (sempre troppo brevi, drammaticamente brevi) e capacità di realizzazione e di manipolazione
(modesta e non delicata in relazione al contesto).

Giancarlo Santi

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)