Al centro dell’umanesimo cristiano

Il restauro e i nuovi allestimenti consentono di vedere ancora i capolavori di Lorenzo Ghiberti, Donatello, Luca della Robbia, Antonio del Pollaiuolo e Michelangelo, nonché modelli ed attrezzi relativi alla costruzione della cupola del Brunelleschi.

Si è riaperto il Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, chiuso da un anno per lavori di adeguamento e riallestimento in preparazione al Giubileo. Il Museo offre un panorama unico di alcuni tra i più fondamentali sviluppi della cultura d’occidente. Non vi è manuale di storia dell’arte che non abbia illustrazioni di una o più delle opere ivi custodite. L’inorganica crescita del Museo di Santa Maria del Fiore, nei centotto anni dalla sua apertura nel 1891, aveva prodotto un ordine discontinuo e una pluralità di logiche di allestimento che rendeva difficile la comprensione delle singole opere e dei programmi di cui originariamente facevano parte. L’odierna esigenza museale di leggibilità, nonché l’ampliamento della collezione con l’aggiunta delle ghibertiane Porte del Paradiso (rimosse dal portale est del Battistero negli anni 1980 per motivi di conservazione) hanno stimolato l’Opera di Santa Maria del Fiore a intraprendere l’adeguamento. Il primo atto è consistito nell’ampliamento e ridisegno del museo esistente, mediante la trasformazione di alcuni ambienti prima adibiti a uffici, la copertura del cortile con un tetto in vetro, e l’ammodernamento degli arredi e servizi, nonché una parziale risistemazione della collezione.
La seconda iniziativa invece è ancora da realizzare. Essa nasce dall’acquisto pochi mesi or sono dell’immobile confinante con l’attuale museo, l’ex-Teatro degli Intrepidi (più recentemente ‘Garage del Centro’), con uno spazio più di due volte quello in cui la collezione è ora esposta. Il piano globale del nuovo museo prevede quindi un allestimento unitario di carattere storico-didattico negli spazi dei due edifici unificati, con un’organizzazione cronologica e per nuclei progettuali: per esempio, le opere relative al Battistero esposte in un’area, quelle riguardanti la facciata in un’altra, quelle del Campanile in una terza, ecc. Nel Museo ora riaperto, il ridisegno come spazio espositivo del cortile, che prima fungeva semplicemente da ‘anticamera’ all’ingresso, ha reso necessaria la definizione di un nuovo accesso, pochi metri più a nord nel vano che fino a qualche anno fa ospitava un negozio. Qui, aprendo completamente l’arco trecentesco dell’edificio, l’architetto fiorentino Luigi Zangheri e il suo collaboratore tedesco David Palter hanno creato un luminoso ambiente la cui sobrietà è vivacizzata dai rivestimenti multicolori del Duomo, visibili attraverso la parete-finestra del vano. Altre grandi finestre a destra si aprono sul cortile coperto, dove il visitatore già vede le formelle restaurate della Porta del Paradiso. Seguono a mo’ di corridoio due ambienti in cui sono sistemati reperti antichi provenienti dall’area del Battistero e del Duomo, e poi – da quest’atrio romano – si entra in una sala che ospita frammenti delle sculture trecentesche provenienti dalle porte del Battistero.
Da qui si accede alla grande ‘sala della facciata’ dove l’allestimento delle statue di Arnolfo di Cambio, un tempo sul fronte ovest del Duomo, è rimasto come era prima, ma la soffittatura è stata rimaneggiata, con elementi per i tubi dell’aria condizionata che fungono da indicatori del percorso espositivo. E’ nuovo l’apparato didascalico: grandi ma discreti pannelli, ognuno con due brevi paragrafi: uno di informazioni storiche e un altro di lettura religiosa delle opere. Salendo alcuni gradini, si entra poi in una sala rettangolare con dipinti provenienti dalla cattedrale e elementi scultorei del coro cinquecentesco di Baccio Bandinelli, parzialmente smantellato nel 1843. L’effetto, aiutato dalla diversa, più intima illuminazione delle tavole, è simile a quello che si ha entrando in una chiesa: si passa dalla piena luce e dalla scala monumentale della sala delle statue della facciata, a un’atmosfera raccolta, in cui gli ori, azzurri e rossi tipici della tavolozza fiorentina del Tre e Quattrocento danno il senso di una preziosità sacrale. Terminata la visita al pianterreno, si sale lo scalone ottocentesco dove: al livello del pianerottolo un vano ospita la seconda delle tre Pietà di Michelangelo, scolpita tra il 1547-1555 per la tomba dell’artista stesso, che il Buonarroti prevedeva a Roma in Santa Maria Maggiore. L’opera non fu mai ultimata, causa un difetto nel marmo che portò l’artista ad abbandonare il gruppo, non prima di averlo mutilato; parte del suo fascino deriva appunto dallo stato ‘infinito’ in cui la vediamo, e parte dall’inserimento dell’autoritratto di Michelangelo nella persona di Nicodemo. Il ridisegno dell’ambiente in cui la Pietà si trova è di notevole eleganza, ma quest’opera richiederebbe uno spazio più ampio, da realizzare nel futuro ‘museo definitivo’. Secondo Vasari e Condivi, questa Pietà fu intesa per l’altare della cappella in cui Michelangelo voleva essere sepolto, così la base su cui poggia dovrebbe essere alzata di quasi un metro.
Se l’immaginiamo posta su un altare, visibile ai fedeli inginocchiati per la celebrazione dell’Eucaristia (e quindi con uno scorcio di sotto in su), la figura di Nicodemo-Michelangelo assume nuova importanza e il corpo di Cristo sembra ‘versato’ direttamente sulla patena e nel calice. Salendo la seconda rampa dello scalone, si arriva in ciò che era originariamente la sala principale del museo, chiamata ‘delle cantorie’ per la presenza delle tribune marmoree di Luca della Robbia e Donatello. Commissionate all’inizio degli anni 1430, quando Brunelleschi stava ultimando la cupola e l’Opera si preparava a spostare le celebrazioni liturgiche dall’altare posticcio nella navata alla nuova area celebrativa più a est, le cantorie hanno sempre destato meraviglia, sia per la brillante e diversissima concezione e resa tecnica dei due maestri, sia per l’interpretazione del concetto mediante figure di bambini e ragazzi, che inaugura un capitolo nuovo nella scoperta dell’identità psico-fisica dei piccoli. Nella medesima sala troviamo gli originali delle statue per le nicchie del campanile. La logica di allestimento è formalista piuttosto che storica, dal momento che l’unica connessione tra le cantorie, fatte per l’interno del Duomo, e le statue all’esterno del campanile, consiste nel fatto che le une e le altre sono opere in marmo di maestri fiorentini del primo Quattrocento. L’elaborazione del progetto del nuovo museo unitario dovrà tener conto della ben diversa storia, collocazione e tematizzazione dei due programmi, distinguendo l’uno dall’altro con allestimenti e spazi separati. Al piano superiore è stato predisposto uno spazio didattico dove, fra l’altro, è prevista una mostra permanente per i non vedenti. Per il futuro si prevede un reparto speciale dedicato ai ragazzi. (Timothy Verdon, Canonico del Duomo di Firenze, membro del Consiglio di Amministrazione del Museo del Duomo di Santa Maria del Fiore)

Il museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze Attrezzi usati nella costruzione del Duomo fiorentino

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