A proposito del Duomo di Pisa

L’ARTE DELL’ADEGUAMENTO
di Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

Il problema dell’adeguamento liturgico delle chiese è finalmente arrivato a interessare il vasto pubblico, grazie al dibattito sorto attorno alla Cattedrale di Pisa. Ricordiamo che il sottosegretario del Ministero per i Beni e le Attività culturali, Vittorio Sgarbi, è intervenuto con decisione per imporre un arretramento del nuovo altare, opera dello scultore Vangi. Il tema è complesso e delicato: non solo riguardo alla Cattedrale di Pisa, ma per qualsiasi chiesa storica. Ricordiamo in estrema sintesi le caratteristiche del problema. Fino al Concilio Vaticano II l’organizzazione dello spazio liturgico seguiva i criteri stabiliti al Concilio di Trento. In particolare l’altare era posto addossato alla parete di fondo e il presbitero celebrava, in lingua latina, rivolto all’altare. La nuova Costituzione sulla liturgia,“Sacrosanctum Concilium”, promulgata il 4/12/1963, parlando della messa, afferma che la Chiesa “si preoccupa vivamente che i fedeli cristiani non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che… partecipino all’azione sacra consapevolmente, pienamente e attivamente…” (SC, II, 48). Da allora i riti vengono officiacciati nelle lingue parlate, riservando il latino solo a occasioni particolari, e l’altare , prima addossato alla parete, è stato spostato in avanti, così da mettere in rilievo la sua dimensione di “mensa” e il presbitero celebra rivolto verso il popolo. Di qui la necessità di “adeguare” lo spazio liturgico, di far sì che gli altari siano consoni alle necessità derivanti dalla liturgia riformata. Forse a qualcuno può apparire strano che a quasi quarant’anni dal Concilio, ancora vi siano chiese che non sono state “adeguate” al nuovo rito. Ma il problema, appunto, non è piccolo. Si tratta di intervenire per operare cambiamenti entro luoghi dove ogni oggetto è un’opera d’arte e l’architettura nel suo complesso ha raggiunto un equilibrio cristallino, prezioso, consolidato nel tempo. Un equilibrio spaziale carico di testimonianze storiche che non possono essere accatonate o sopraffatte – come in alcuni casi è successo. È quindi un preciso dovere delle Autorità competenti, difendere quell’equilibrio raggiunto nei secoli. D’altro canto la chiesa è un corpo vivo. Ogni chiesa è stata costruita, come mette in rilievo il Prof. Silvano Maggiani nel suo autorevole intervento che pubblichiamo qui accanto, non per essere un museo, ma come luogo ove la comunità si ritrova e si riconosce nell’unicità del rito. Spesso sono stati usati altari provvisori, per non violare lo spazio artistico e allo stesso tempo officiare nel modo dovuto. Ma la provvisorietà, prima o poi deve finire. È necessario che una chiesa, e tanto più una Cattedrale, trovi una sistemazione definitiva per il proprio spazio liturgico e anzitutto un nuovo altare che sia solido, fisso, in tutto rispondente alle necessità attuali. E come nel passato la Chiesa si è rivolta ai maggiori ar tisti, rappresentativi della loro epoca, allo stesso modo oggi Essa si rivolge agli artisti più capaci. Qual è il punto? Si tratta di rispettare il mirabile equilibrio raggiunto nella storia, innovando senza soverchiare, rispettando la chiesa come luogo atto alla celebrazione, non come deposito di opere d’arte. I due aspetti, l’innovazione e il rispetto per l’esistente, devono andare assieme. Non avrebbe senso privilegiare la conservazione rispetto all’innovazione, perché la chiesa è viva e vi si deve celebrare nell’oggi; non avrebbe senso far come se il patrimonio artistico esistente fosse facilmente accantonabile, poiché le opere d’arte storiche sono una ricchezza per tutti, una testimonianza ineludibile. Bisogna piuttosto riprendere un cammino che la Chiesa ha percorso sempre nella sua storia: quello della committenza colta, capace di informare, consigliare, dirigere la mano degli artisti chiamati a lavorare per lei. Questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione è dedicato al tema del legno: già ne abbiamo parlato in passato. Abbiamo voluto riprenderlo, e lo riprenderemo ancora, perché anche il legno, per sua qualità intrinseca, ha la capacità di rappresentare una continuità. Un materiale che, pur nelle sue più innovative versioni, quali il lamellare, auspichiamo venga usato sempre di più. Perché rappresenta assieme il passato e il futuro: come ogni cosa degna e dignitosa, che si rinnova, ma non tramonta.
Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

A proposito del Duomo di Pisa

Intervista al Prof. Silvano Maggiani, Presidente della Associazione Professori e Cultori di Liturgia d’Italia (APL) La conservazione delle grandi chiese storiche e l’inserimento in queste di nuove opere, come nel caso dell’introduzione di un nuovo altare e un nuovo ambone per adeguare lo spazio liturgico della Cattedrale di Pisa alle normative liturgiche vigenti, ha sollevato qualche polemica. Abbiamo chiesto al Prof. Silvano Maggiani un commento sull’inter vento ministeriale che richiede l’arretramento di 30 centimetri dell’altare. La presenza e il controllo dei Responsabili dei Beni culturali pubblici è un loro diritto-dovere. Il problema mi sembra piuttosto se essi siano o non siano preparati ad affrontare un tema come quello dell’adeguamento dello spazio liturgico delle chiese antiche o della collocazione di opere d’arte in funzione liturgica nelle chiese nuove. Dalla mia esperienza ho ricavato l’impressione che la loro preparazione in storia dell’ar te in certo qual modo li condizioni, quando si parla di evoluzione dell’impianto architettonico della chiesa. Sembra che siano legati al modello ecclesiastico del periodo tridentino e che faccia loro difetto una preparazione in materia di liturgia: il che è sorprendente. Solo sulla base di una conoscenza della liturgia infatti si possono valutare le specifiche condizioni artistiche e architettoniche di una chiesa. Ora è chiaro che la domus ecclesiae si è andata perdendo come modello di organizzazione spaziale nel corso dei secoli, anche a causa delle responsabilità dell’autorità ecclesiastiche, dimentiche del senso proprio, originario di una chiesa. Con il Movimento liturgico e con la riforma del Vaticano II, è avvenuto un grande recupero in senso liturgico ed ecclesiale del concetto di domus ecclesiae. Quando si parla con i Responsabili dei Beni Culturali, essi tendono adiscutere in termini di conservazione e di restauro e non invece del senso profondo e simbolico che deve emergere dall’invaso della chiesa. Un’aula ecclesiale, pur vetusta e ricca di opere d’arte e di ornamenti, è una realtà vivente per ciò che vi si compie e per il modo con cui lo si compie, non un museo che mette in mostra l’evolversi di tendenze artistiche. È il luogo dove la comunità cristiana celebra i riti dell’eucaristia, dell’iniziazione cristiana, del matrimonio, della morte, dell’ordinazione, della penitenza e del perdono, delle benedizioni, della preghiera oraria e dove ci si raduna attorno al Vescovo per essere confermati e proseguire il cammino di fede. Se non si parte da questi principi, per cui una chiesa è anche, ma non solo, un’opera d’arte, non si potrà mai capire perché bisogna adeguare lo spazio liturgico. L’adeguamento non è un capriccio ma l’esigenza di continuare a vivere attraverso segni visibili quel che il fondatore, Gesù, ha detto di vivere e di fare nel miglior modo possibile. Quel che è accaduto a Pisa è inquietante perché, per quel che è possibile ricavare dai giornali, sembrerebbe che, in riferimento all’altare e all’ambone dello scultore Vangi, nessuno si sia posto il problema di quale sia il significato dell’altare e il significato dell’ambone per ciò che si celebra all’interno di quella cattedrale.
P. Silvano Maggiani O.S.M.

 

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